Pietro Venezia è Dirigente della Unità Operativa Semplice di Chirurgia Endoscopica e Mininvasiva presso il Policlinico di Bari, dopo la somministrazione della prima RU486 presso il medesimo Policlinico ci chiarisce e giustifica le sue perplessità sull’impiego della pillola abortiva.
Dottor Venezia, da un mese è cominciato l’utilizzo in regime ordinario della pillola RU486.
La prima somministrazione è avvenuta proprio presso il Policlinico di Bari. Ma cosa è la RU486?
Questo prodotto in sostanza è un abortivo. Con la RU486 l’ovulo già impiantato viene espulso, eliminato dall’utero. Ci troviamo, in altre parole, di fronte ad un ovulo in grado di sviluppare un essere umano, che oramai è stato già geneticamente “confezionato” nella sua unicità. Le sostanze contraccettive, invece, evitano la ovulazione, quindi la formazione dell’embrione come ad esempio la pillola del giorno dopo. La “pillola” è una sostanza a base di estrogeni e progestinici che bloccano la ovulazione, pertanto, può essere considerata come un miglioramento dell’attività anticoncezionale del preservativo e un ulteriore perfezionamento del metodo Ogino-Knaus accettato dalla Chiesa.
Dottor Venezia come funziona la RU486?
Gli studi per la produzione della RU486 cominciarono in Francia nel 1970 quando Edouard Sakiz e Etienne-Emile Baulieu misero a punto, nei laboratori Roussel-Uclaf, un vasto programma di ricerca chimica e biologica per sviluppare un’ampia gamma di molecole steroidee finalizzata a regolare l’attività ormonale e anti-ormonale.
All’inizio degli anni ottanta si arrivò alla scoperta di una nuova sostanza anti-progesterone: il mifepristone. Il nome è RU 38 486 che presto diventa RU486 (dalla somma delle iniziali del laboratorio Roussel-Uclaf e del numero della molecola di mifepristone).
La paziente deve assumere due sostanze: il mifepristone e la prostaglandina che somministrata due giorni dopo provoca l’espulsione,cioè l’aborto del prodotto del concepimento.
Dalle sue esperienze può affermare che le donne che si presentano per sottoporsi alla terapia, sono ben informate sulle conseguenze che ne scaturiscono?
Io non sono un ginecologo, pertanto non sono, almeno dal punto di vista professionale a contatto con le donne che hanno deciso di sottoporsi a tale “terapia”, ma l’esperienza personale mi porta ad affermare che ad alcune donne non interessa sapere quali sono gli eventuali effetti collaterali; in quel momento “il problema” è solo quello di “liberarsi” nella maniera più indolore di quello che portano in grembo.
In America sono già stati accertati diversi casi di donne morte a causa dell’assunzione di tale pillola. L’uso della pillola può portare a delle complicazioni o a degli effetti collaterali?
Tutti i farmaci hanno effetti collaterali più o meno invasivi sul nostro corpo nel momento in cui ne facciamo uso. Farmaco infatti deriva dal greco “pharmakon” che vuol dire veleno.
Si è parlato molto della circostanza che sia necessario il ricovero obbligatorio per le donne che vogliono sottoporsi a tale trattamento. Molte di loro però dopo la prima assunzione firmano la liberatoria per la dimissione dall’ospedale per poi ritornare il giorno dopo per la seconda fase del trattamento.
La RU486 non è un anticoncezionale, è invece un abortivo. La metodica prevede la somministrazione di due sostanze, diverse tra loro, a distanza di un paio di giorni: di regola la espulsione del feto può avvenire dopo l’assunzione della seconda sostanza, la prostaglandina, che induce le contrazioni uterine, e quindi l’aborto. Vi sono casi invece (3-6%) in cui la paziente abortisce dopo la assunzione della prima sostanza ed è proprio in tali circostanze, che si verifca una delle complicanze segnalate: l’ emorragia, meglio la metrorragia. Per tale motivo i protocolli prevedono che le donne rimangano sotto controllo nella struttura ospedaliera almeno per le successive 3-6 ore dall’assunzione della seconda sostanza.
La RU486 non è un anticoncezionale, è invece un abortivo. La metodica prevede la somministrazione di due sostanze, diverse tra loro, a distanza di un paio di giorni: di regola la espulsione del feto può avvenire dopo l’assunzione della seconda sostanza, la prostaglandina, che induce le contrazioni uterine, e quindi l’aborto. Vi sono casi invece (3-6%) in cui la paziente abortisce dopo la assunzione della prima sostanza ed è proprio in tali circostanze, che si verifca una delle complicanze segnalate: l’ emorragia, meglio la metrorragia. Per tale motivo i protocolli prevedono che le donne rimangano sotto controllo nella struttura ospedaliera almeno per le successive 3-6 ore dall’assunzione della seconda sostanza.
La prassi che rischia di svilupparsi, e cioè “pillola e poi a casa” è quindi in evidente violazione della legge 194 che prevede che l’aborto avvenga all’interno delle strutture pubbliche proprio per salvaguardare la salute delle donne.
A proposito della prostaglandina, mi permetto di sottolineare che questa veniva utilizzata nel 1982 per curare le ulcere, ma i risultati sono stati molto al di sotto delle aspettative, con effetti a volte controproducenti nei pazienti.
Negli ultimi anni si è molto discusso della terapia del dolore, secondo Lei, la pillola Ru486 introdotta anche per evitare tecniche di “aborto chirurgico”, quale ad esempio il “raschiamento”, ha apportato dei risvolti per così dire “positivi” per la donna che decide di sottoporsi a tale trattamento?
L’aborto cd. chirurgico, praticato legalmente in Italia da trent’anni, prevede un intervento con anestesia e ricovero. La donna deve formulare una richiesta scritta, controfirmata da un medico non obiettore. La tecnica prevede lo svuotamento dell’utero in anestesia locale o generale.
Nel caso dell’assunzione delle RU486 ci troviamo di fronte ad un aborto chimico.
Per quanto attiene la terapia del dolore di cui si sente tanto parlare, secondo il dossier Aifa, il trattamento con RU486 rispetto ad un intervento di “raschiamento” è meno invasivo e pertanto “meno doloroso”. Secondo me il punto su cui riflettere non è il dolore. Non prova dolore la donna che partorisce per via naturale?
Quali sono i punti su cui si dovrebbe riflettere secondo lei, dottore?
Il pensiero dominante oggigiorno che mi piace definire “radical chic” propone e propugna l’ aborto, cioè “di uccidere” i figli snaturando la natura stessa delle donne, modificandone quindi la loro identità naturale. Oppure pensiamo ad una donna che assume la prima parte del trattamento, poi entra in crisi di coscienza e non completa la “cura”. Cosa accade? Questo dobbiamo chiederci.
Mi lascia molto perplesso il fatto di come tutti si preoccupino della salute di una donna che autonomamente decide di abortire e nessuno pensa alla tutela di colui che invece è impotente di fronte agli eventi che è stato costretto a subire e che comunque lo vedono protagonista involontario ma sicuramente “oggetto” di queste scelte.
Dottore, secondo lei la diffusione della RU486 può portare ad una maggiore “superficialità” da parte della donna e della società che la circonda nell’affrontare l’aborto e ad un minore uso degli anticoncezionali?
Il grosso handicap di fronte al quale ci troviamo riguarda la “immaturità” della donna nell’essere donna, e quindi di accettare quello che il suo corredo cromosomico ha stabilito. Ci troviamo cioè di fronte ad una dicotomia fra quello che una donna è e quello che “vorrebbe essere”.
La “immaturità” che induce prima ad avere rapporti non protetti e poi ad abortire oggi in maniera addirittura autonoma (basti pensare che il trattamento può essere acquistato via internet) renderanno le donne più esposte a rapporti sessuali promiscui con la diffusione di malattie quali l’AIDS, la gonorrea, la sifilide ecc.
La richiesta di aborto chirurgico implica comunque ad una scelta più ponderata, almeno sulla carta, in quanto nella decisione c’è un percorso da seguire. Il consultorio, e poi il rapporto dualistico: donna/uomo o donna/ginecologo. L’ aborto chimico comporta che la responsabilità della scelta ricadrà esclusivamente sulla donna che deciderà da sola della vita e della morte di un altro individuo che lei comunque porta nel suo grembo,e con il quale è entrata in sintesi.
Cosa scatterà nella sua mente? Pensiamo alla sindrome post-abortiva che ha causato tanti suicidi nelle donne.
L’aborto chirurgico è stato il frutto di una scelta “condivisa”; d’ora in avanti colei che decide di ricorrere all’aborto chimico lo potrà fare in perfetta solitudine.
E che dire di coloro che saranno “costrette” ad assumere frequentemente la RU486? Quali saranno per costoro i problemi legati a successive inversioni di rotta con la decisione di voler concepire? Sappiamo per certo che l’impiego della RU486 interrompe la immissione naturale in circolo del progesterone che serve a tutelare lo sviluppo dell’embrione.
Il trattamento con la RU486 porterà secondo Lei ad un aumento degli aborti?
A mio parere si. Qualsiasi donna, di qualsiasi età, può, anche semplicemente andando su internet, al costo di 70 euro, accedere a questo trattamento e disfarsi del prodotto del “Suo” concepimento.
Ritengo opportuno precisare che seppure in teoria tale trattamento debba essere utilizzato entro la settima settimana di gestazione, in pratica potrà essere utilizzato in maniera anarchica,in qualsiasi momento. Fra l’altro non conosceremo più quanto effettivamente il fenomeno aborto inciderà sulla vita sociale dell’umanità. Certo è che sarà disattesa e quindi resa inutile la stessa legge sull’aborto introdotta,lo ricordo, per disincentivare tale pratica e per aiutare le donne in tale scelta. Ritengo pertanto che l’introduzione della RU486 rappresenta un notevole passo indietro nella storia della scienza medica e della tutela della vita, una vita che avrà il valore di soli 70 €, neanche il costo di un cellulare.
16 Maggio 2010
Intervista a Pietro Venezia di Salvatore Gentile tratta da http://www.loccidentale.it/
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