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sabato 18 settembre 2010

Svizzera: l'aborto e la Soluzione dei termini

 
Eliminare come soluzione?

La «Soluzione dei termini»:
  • Legalizza la violenza sul bambino indifeso, contro ogni principio di dignità umana e in grossolana violazione della nuova costituzione federale (Art. 10: «Ognuno ha diritto alla vita»!).
  • Trasforma il grembo materno a cella della morte, il posto più pericoloso del mondo, dove è permesso uccidere esseri umani senza fornire ragioni.
  • Si appella all’alibi morale dello «stato di bisogno»: lo stato di bisogno provato dalla donna non viene verificato, né la donna riceve l’aiuto necessario per essere sottratta da tale stato di bisogno.
  • Permette alle giovani di età inferiore a 16 anni di ricorrere all’aborto contro il volere e all'insaputa dei propri genitori.
  • È un insulto alle conoscenze scientifiche, secondo le quali l’essere umano è tale fin dal primo momento (e non inizia semplicemente con un ammasso amorfo di cellule!).
  • È arbitraria e rende la donna giudice in causa propria, padrona della vita e della morte del proprio figlio.
  • Costringe ad una equivoca etica professionale medici e ostetriche, che adesso sono chiamati ad uccidere, anziché a salvare la vita.
  • Moltiplica il numero degli aborti; solo una proibizione di uccidere e un’offerta di aiuti concreti sono conformi alla natura umana ed hanno un effetto di prevenzione.
  • Permette l’aborto fino a immediatamente prima del parto! Dalla 12a settimana fino a immediatamente prima del parto è sufficiente solo una dichiarazione del medico che pratica l’aborto (non più una perizia medica!), attestante che la donna si trova in un «grave stato psichico di bisogno» (interpretazione?), per rendere possibile un aborto tardivo. In un parto prematuro la possibilità di sopravvivenza sussiste già per un bambino di 22 settimane!
  • Promuove in Svizzera una mentalità avversa ai bambini: l’Ufficio federale di statistica prevede per l’anno 2050 solo 4,7 milioni di cittadini svizzeri. Fino a tale epoca ci saranno stati in Svizzera circa un milione di bambini abortiti! Solo un chiaro NO alla soluzione dei termini/soluzione omicida servirà ad evitare il peggio!

Argomenti sul tema "Soluzione dei termini"


1. Essere umano o ammasso di cellule?

Il bambino prima della nascita è solo «un ovulo fecondato, un ammasso di cellule», oppure un essere umano?
La ricerca genetica ha dimostrato che dopo la fusione tra le due cellule germinali, l'esistenza dell'essere umano generato non si modifica più, ma solo continua a svilupparsi (Werner Arber, premio Nobel). Fin dal primo momento l'embrione è un «esponente del genere umano». La «Legge fondamentale biogenetica» di Ernst Haeckel (1866), secondo la quale il bambino nel corso del suo sviluppo prima della nascita percorre tutte le tappe di una possibile evoluzione, dall'ameba al pesce, ai vertebrati inferiori, alle scimmie, per arrivare infine all'uomo, è stato smentita come uno dei più grossi sbagli della storia medica.
Dal momento della fusione tra le due cellule germinali ha inizio uno sviluppo che senza interruzioni e inversioni procede fino a età avanzata e termina solo con la morte. Il 21° giorno dopo la fecondazione il cuore del bambino comincia già a battere, dopo sette settimane tutti gli organi sono funzionanti.
Il bambino prima della nascita possiede «l'appartenenza alla comunità di diritto» (prof. Pedrazzini). Ha tutta la dignità di essere umano. Da ciò consegue la sua esigenza a una protezione giuridica.

2. Gravidanza insostenibile?
Ci sono situazioni per le quali è impensabile che una donna possa portare a termine la gravidanza?
Gravidanze impreviste possono effettivamente condurre a situazioni di bisogno, che pongono le donne di fronte a difficili problemi. In tali casi è necessario un rapido aiuto e la comprensione da parte delle persone vicine.
Però l'aborto non è mai una soluzione, bensì sempre un atto di grande iniquità: per il bambino l'aborto è ancor più che una violenza, è la sua fine brutale e cruenta. In base a queste considerazioni la situazione di bisogno della madre deve venire ripensata. La soluzione che rispetta la dignità umana è: predisporre il necessario aiuto per la madre e assicurare un'adeguata protezione giuridica per il bambino.
Altro è il caso di una situazione eccezionale, come un acuto pericolo di vita per la madre, dovuto a ragioni fisiche e non altrimenti evitabile. In una tale evenienza si parla di misure immediate atte a salvare la vita, le quali non causano alcuna colpa, anche se in determinate circostanze possono provocare la morte del bambino.

3. Autodeterminazione?

Deve disporre la donna del diritto di autodeterminazione sul proseguimento della gravidanza?
Dal diritto di autodeterminazione non può derivare il diritto di uccidere un bambino prima della nascita. Il bambino non è proprietà della donna. L'autodeterminazione può riferirsi solo alla propria persona (il proprio ventre) e mai al bambino.
Lo slogan femminista «Il ventre è mio» sta a significare che il bambino prima della nascita non può accampare alcun diritto sul ventre della madre. Un tale concetto è in contraddizione con il comune senso di giustizia: se la legge sull'esecuzione e quella sui fallimenti prevedono che al debitore insolvente non possono essere sequestrati il letto, il tavolo, gli abiti, il minimo esistenziale ecc., anche al bambino prima della nascita non può essere tolto il minimo esistenziale (cioè il grembo materno), senza il quale non può vivere.
L'istanza al diritto di autodeterminazione è il voler esercitare il potere del più forte ai danni del più debole.


4. Costrizione statale a partorire?

Esiste veramente una «costrizione statale a partorire»?
Lo stato non costringe a partorire, protegge solo la vita dell'individuo come massimo bene. Partorire è la determinazione dell'uomo e della donna nel momento in cui generano il bambino.
Infatti, una volta generato, il bambino deve essere in ogni caso partorito: i fautori dell'aborto vogliono che sia partorito morto, gli avversari dell'aborto vogliono che sia partorito vivo.
Non il parto è contro la dignità umana, ma l'uccisione di un bambino indifeso.
 
5. Aborto dopo violenza carnale?

Si può ammettere l'impunità dell'aborto conseguentemente ad una violenza carnale?

Fondamentalmente la donna non ha alcuna colpa per l'atto di violenza da lei subito. Neanche il bambino ha colpa, né porta alcuna responsabilità per il reato del padre (la corresponsabilità dei congiunti è una figura giuridica del passato, ora non esiste più). Non si può nemmeno pensare che la madre voglia vendicarsi sul figlio per il torto da lei subito.
I gravi traumi provocati dalla violenza carnale non possono essere sanati con l'aborto. L'aborto non ha alcun valore terapeutico e non è una medicina. Al contrario: alla dolorosa esperienza dell'oltraggio patito si aggiunge quella dell'aborto, per la donna una sofferenza doppia che, come mostrano i casi reali, può portare al limite della disperazione. Ci sono donne che in seguito ad una violenza subita necessitano di un trattamento psichiatrico ospedaliero, però nei circoli medici è noto che per la maggioranza delle donne curate in cliniche psichiatriche svizzere, all'inizio dell'infermità c'è stato un aborto. 
Secondo l'Ufficio federale di statistica, nel 1999 furono denunciati in Svizzera complessivamente 447 casi di violenza carnale. Varie analisi scientifiche hanno mostrato che per 100 casi di violenza carnale si sono avute in media 0,08 (!) gravidanze. Quindi i casi denunciati hanno portato, secondo un calcolo puramente statistico, max. una gravidanza. Si deve anche osservare che non tutte le donne violentate e rese gravide sono propense ad abortire. È quindi sproporzionato addurre l'argomento «violenza carnale» per legittimare una normativa dell'aborto che causa più di 12'000 morti all'anno.
Anche se i nove mesi della gravidanza significano per la madre un continuo richiamo alla memoria della violenza subita, dopo questi nove mesi, al termine della gravidanza, la donna che avrà lasciato vivere il suo bambino sarà anche riuscita a evitare una rovina ancora maggiore della propria vita, e avrà potuto, se lo vuole, dare la felicità dell'adozione a una coppia senza figli.


6. Criminalizzazione della donna?

Si deve respingere la penalizzazione dell'aborto perché questa porta alla «criminalizzazione» della donna?
Non è chiaro come sia possibile proteggere la vita del bambino prima della nascita senza ricorso ad articoli del codice penale, mentre gli articoli del codice penale sono notoriamente irrinunciabili per una sufficiente protezione della vita del bambino dopo la nascita.
Si pone solo la domanda di chi debba essere l'oggetto della sanzione. La risposta più ovvia appare quella che indica come punibile la persona che compie l'atto di uccidere il bambino o che contribuisce in modo determinante all'uccisione. Di regola questa persona non è la donna bensì il medico, che per l'etica professionale del giuramento d'Ippocrate o del giuramento di Ginevra riguardante i medici sarebbe obbligato all'incondizionata (!) protezione della vita «a cominciare dal concepimento». L'azione della donna invece ricadrebbe di regola solo sotto la voce di «favoreggiamento» o «complicità».


7. Aborti illegali?

Si deve rendere impunibile l'aborto allo scopo di non costringere la donna all'illegalità?
L'eventualità dell'aborto illegale non è una ragione sufficiente per abrogare le sanzioni per il reato. Anche altre forme di illeciti meno gravi, come per esempio il furto o la frode, non scompaiono solo col venire dichiarati impunibili.
Nel passato la donna che si sottoponeva ad un aborto illegale rischiava di morire per dissanguamento. Oggi in Svizzera non è questo il pericolo dell'aborto, anche per la diversa situazione sanitaria nel paese. L'Istituto Alan Guttmacher dei fautori americani dell'aborto calcola per il 1990 che in tutto il mondo muore in media una donna ogni 8'333 aborti illegali. Si può giustamente presumere che per la Svizzera questa probabilità sia enormemente più a favore della donna. Per cui, anche se tutti gli aborti odierni in Svizzera fossero compiuti illegalmente, non ci sarebbe una sola donna che di conseguenza rischia la vita.
Invece è un dato di fatto che per gli aborti cosiddetti legali lasciano ogni anno la vita 12'000 e più bambini.


8. Conseguenze psichiche?

Sono veramente rari i casi in cui l'aborto ha conseguenze negative sulla salute fisica e psichica della donna?
Un aborto è un'ipoteca per tutta la vita.
Uno studio della Clinica ginecologica universitaria di Würzburg (Dr. M. Simon) effettuato su 110 donne dopo un aborto ha rilevato per un 80% di loro possibili danni psichici conseguenti all'aborto e per un 60% la presenza di sensi di colpa per l'aborto.
I postumi psichici di un aborto si presentano con uno o anche più sintomi contemporanei, come sensi di rimorso e di colpa, autocondanna, cambiamenti di umore, depressioni, pianto immotivato, stati ansiosi e sogni angosciosi. I sintomi psichici possono anche essere accompagnati da molteplici disturbi funzionali.


9. Aborti da sempre?

Il fatto che gli aborti ci sono sempre stati è una ragione sufficiente per autorizzarli?
È indiscusso che gli aborti ci sono stati in ogni tempo. Anche altri crimini (violenza carnale, rapina, abuso sui minori ecc.) esistono da sempre, ogni giorno e in tutto il mondo, malgrado tutte le comminazioni di pene, però a nessuno verrebbe in mente di dichiarare questi atti penalmente non perseguibili. Contro questi ci sono invece le necessarie sanzioni. Per proteggere il più debole dagli abusi del più forte.
Chi fa dipendere l'osservanza dei diritti fondamentali e dei diritti dell'uomo dalla loro attuabilità favorisce soprattutto quelle forze della società che si orientano più alla prepotenza che al diritto. Il diritto è però proprio l'ultima ancora di salvezza dei più deboli.


10. Più è libero meno si fa?

È vero che una legislazione più permissiva in fatto di aborto riduce il numero di aborti?
È vero il contrario: quanto più «larga» è la legge sull'aborto tanto più aborti ci sono. In nessun paese del mondo si è dato che con il mitigamento delle disposizioni penali il numero di aborti si sia ridotto. Ciò sarebbe anche logicamente impossibile.
Negli Stati Uniti, dopo la liberalizzazione nel 1973 il numero di aborti passò in pochi anni da 150'000 a 1,6 milioni all'anno. In Olanda gli aborti delle donne abitanti continuano tuttora ad aumentare. Solo in totale sono momentaneamente diminuiti, e questo perché sempre meno donne straniere si recano in Olanda per abortire. In Germania dopo l'introduzione della «soluzione dei termini» il numero di aborti è aumentato e si è stabilizzato ad alto livello. Situazioni simili si osservano in tutti i paesi.
Che invece la comminazione di pene sia un mezzo idoneo per ridurre il numero di aborti è mostrato dall'esempio della Polonia: dopo che nel passato il regime comunista aveva liberalizzato quasi completamente l'aborto, negli ultimi anni nuove leggi hanno introdotto una quasi totale proibizione, e il numero degli aborti si è ridotto da 168'587 (1965) a 3'047 (1997), secondo le informazioni dell'ambasciata polacca a Berna.

NO alla «soluzione dei termini»!

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