Quando una donna ha a che fare con questa terribile esperienza e se ne pente, difficilmente riesce a superarne il trauma da sola.
Il primo passo verso la guarigione interiore è la Confessione, infatti per mezzo del Sacramento della Riconciliazione inizia il vero e proprio percorso di "metabolizzazione" di quanto commesso e il perdono ottenuto per mezzo dell'Assoluzione del Sacerdote l'aiuta a ricominciare da capo con una più profonda consapevolezza del valore di una vita umana.
Spesso non è semplice accostarsi a questo Sacramento a causa della vergogna e dei sensi di colpa, ma una volta trovato il coraggio è bene sapere che questo peccato contro la vita nascente và confessato ad un incaricato "speciale".
La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana.
"Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica latae sententiae" (Canone 1398), "per il fatto stesso d'aver commesso il delitto" (Canone 1314) e alle condizioni previste dal diritto.
La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.
(2272 – Catechismo della Chiesa Cattolica) "Chi procura l'aborto, se ne consegue l'effetto, incorre nella scomunica latae sententiae" (Canone 1398), "per il fatto stesso d'aver commesso il delitto" (Canone 1314) e alle condizioni previste dal diritto.
La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società.
Per la chiesa cattolica, l'aborto procurato è un peccato gravissimo, in quanto viola la legge divina e condanna la donna, i medici e gli infermieri alla scomunica.
L'aborto volontario è però un peccato definito «riservato»: il potere d'assoluzione spetta cioè soltanto al Vescovo, al suo Vicario o al Penitenziere. Normalmente, infatti, un sacerdote non può rimettere di propria iniziativa il peccato dell' aborto al fedele che lo confessa.
La legge ecclesiastica prevede che, per concedere l'assoluzione, si debba essere «autorizzati» dal capo della diocesi.
L'aborto volontario è però un peccato definito «riservato»: il potere d'assoluzione spetta cioè soltanto al Vescovo, al suo Vicario o al Penitenziere. Normalmente, infatti, un sacerdote non può rimettere di propria iniziativa il peccato dell' aborto al fedele che lo confessa.
La legge ecclesiastica prevede che, per concedere l'assoluzione, si debba essere «autorizzati» dal capo della diocesi.
La Penitenzieria
La delicatezza di questo antico e prezioso incarico sta proprio nella specificità che avrà nell'ambito del sacramento della Riconciliazione. Solo il Penitenziere in tutta la Diocesi, oltre al Vescovo, potrà assolvere alcuni peccati considerati gravissimi per i quali è prevista la scomunica. Tra questi si colloca l'aborto, ritenuto dalla Chiesa tra i delitti più gravi e pericolosi perpetrati contro la vita e la libertà dell'uomo. Da qui l'invito sollecito che viene rivolto a chi procura l'aborto a ritrovare la via della conversione. Nei casi specifici saranno i sacerdoti stessi a inviare il fedele interessato al penitenziere.
Quali sono le origini della Penitenzieria?
È uno dei più antichi dicasteri della Curia romana. Le sue origini risalgono al secolo xii, quando si avvertì la necessità di coadiuvare il Papa nell'esercizio della sua giurisdizione per il foro interno. Le relative facoltà furono conferite al cardinale penitenziere, che si valse, nell'esplicare le sue funzioni, di un ufficio, già esistente durante il pontificato di Gregorio ix (1227-1241).
Nel 1569 papa Pio v costituì tre Collegi di penitenzieri con il compito di assicurare - nelle basiliche di San Pietro, San Giovanni in Laterano e Santa Maria Maggiore - un'adeguata celebrazione del sacramento della riconciliazione. Affidò allora quel compito, rispettivamente, ai gesuiti in San Pietro, ai frati minori osservanti in San Giovanni in Laterano, ai domenicani in Santa Maria Maggiore. Nel 1933 Pio xi costituì un quarto Collegio per la basilica di San Paolo fuori le Mura affidandolo ai benedettini.
I peccati riservati
Come già detto, non ogni sacerdote può assolvere da qualsiasi peccato; vi sono infatti peccati che, per la loro particolare gravità, sono riservati alla Sede Apostolica o all'Ordinario del luogo.
È riservata alla Sede Apostolica l'assoluzione di chi profana le specie consacrate (c. 1367); di chi usa violenza fisica contro il Romano Pontefice (c. 1370); del sacerdote che, anche se invalidamente (c. 977), assolve il complice in peccato turpe (c. 1378); del Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e di chi da esso ricevette la consacrazione (c. 1382); del confessore che viola direttamente il sigillo sacramentale (c. 1388).
All'Ordinario del luogo è riservata l'assoluzione dal peccato dell'aborto procurato ed effettuato (c. 1398) e dai peccati che si riserva o gli sono riservati dal diritto comune.
Al Penitenziere, sia della chiesa cattedrale sia della chiesa collegiale, compete la facoltà ordinaria, ma non delegabile, di assolvere in foro sacramentale dalle censure latae sententiae non dichiarate, non riservate alla Sede apostolica (c. 508).
Il sacerdote confessore può rimettere in foro interno sacramentale la censura "latae sententiae" di scomunica o d'interdetto, non dichiarata, se al penitente sia gravoso rimanere in stato di peccato grave, per il tempo necessario a che il Superiore competente provveda (c. 1357, par 1).
Il confessore nel concedere la remissione deve imporre al penitente l'onere di ricorrere entro un mese, sotto la pena di ricadere nella censura, al Superiore competente o a un sacerdote provvisto della facoltà, e di attenersi alle sue decisioni; intanto deve imporre una congrua penitenza e la riparazione, nella misura in cui ci sia urgenza, dello scandalo e del danno. Il ricorso può essere fatto anche tramite il confessore, senza però fare menzione del nome del penitente (c. 1357, par 2).
Allo stesso onere di ricorrere sono tenuti, dopo essersi ristabiliti in salute, coloro che sono stati assolti in pericolo di morte (c. 976) da una censura inflitta o dichiarata, oppure riservata alla Sede apostolica (c. 1357, par. 3).
Incorre nella riserva del peccato, stabilita dalla legge o dal precetto, chi deliberatamente ha violato la legge o il precetto. Posta la violazione esterna, l'imputabilità si presume, salvo che non risulti altrimenti (cfr. cc 15, par 2; 1321 ss).
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