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mercoledì 25 novembre 2009

Dalle rivelazioni del Cielo ad una mistica tedesca Jiustine Klotz


Tutto quello che Justine Klotz sentì, o vide, durante molti decenni, venne scrupolosamente trascritto e custodito. In seguito, sempre agendo in obbedienza al suo confessore, ella potè informare anche altre persone di fiducia, in modo particolare i sacerdoti. 
Le fu anzi chiarito che i messaggi erano rivolti in prima linea proprio a loro.
I temi dei messaggi sono moltissimi. [...] Talora i messaggi riguardavano problemi attuali di vita religiosa e della Chiesa sui quali Gesù e Maria intervennero ripetutamente. 

Così, tra l’altro, l’aborto è stato indicato come il più grande delitto dei nostri tempi, per il quale l’umanità dovrà espiare molto.  Ecco alcune rivelazioni a riguardo:


Dalla Madre di DIO:

"Figlia, non giudicare. È l'orrore degli orrori! Così agisce il mondo.
Anche tali anime ricevono il Pane della Vita. Tu devi aiutare a scontare con l'espiazione.
Ce ne sono così pochi che ancora riflettono cosa significa strappare al corpo un figlio che DIO ha donato all'anima.
Come colpisce questo il Cuore di Mio Figlio, e Me, perché Io ne devo rispondere!
LasciateMi gridare a tutto il mondo: che cosa non ho fatto per preser­varvi da questo peccato! Questi sono peccati contro lo Spirito Santo. - Così grande è l'oltraggio! Morte nel grembo materno!
Molto al di sotto dell'animale, per come esso ama i suoi piccoli! Solo l'Atto d'Amore può salvarli!"
Da San Giuseppe:
"Tu puoi battezzare i bambini che non nascono.
Verrà intonato uno stormo di preghiere che gioverà anche a queste ani­mette
... Pregate un atto di consacrazione alla Madre del Signore. Io sono Giuseppe, il loro padre adottivo. "

Ru486. Stop alla procedura, tutto da rifare


Queste le conclusioni della Commissione Sanità del Senato. La discussione rinviata ad oggi

24 novembre 2009 - Stop alla Ru486. È questa la conclusione dell'indagine conoscitiva sulla pillola abortiva della Commissione Sanità del Senato. Le conclusioni, stilate dal presidente Tomassini, avrebbero duvuto essere approvate ieri, ma dopo l'anticipazione del sito www.aduc.it, che ha messo on line l'intero documento (in allegato) lunedì sera, è scoppiata la polemica. Ieri in commissione la senatrice Donatella Poretti ha presentato uno schema di documento alternativo, non condiviso dal Partito Democratico, che si è riservato di presentare a sua volta un terzo documento. La discussione e approvazione delle conclusioni dell'indagine è stata rinviata ad oggi.
Le conclusioni di Tomassini mettono sotto accusa la piena compatibilità della Ru486 con la legge 194 e l'utilizzo del misoprostolo come prostaglandina, il cui uso come abortivo è off label. «Poiché la procedura di immissione in commercio della specialità Mifegyne per mutuo riconoscimento fin qui seguita dall’AIFA non ha previsto la verifica della compatibilità con la normativa vigente, la Commissione Igiene e sanità propone di sospendere tale procedura per chiedere ed acquisire il parere del Ministero competente in materia, consentendo, ove si ritenga necessario, di riavviare la procedura dall'inizio. [...] Rispetto ai dubbi sui decessi a seguito di assunzione di RU486 o delle prostaglandine associate, e di fronte alle difficoltà di disporre di dati certi, si auspica una richiesta di arbitrato che riapra la discussione di merito sul rapporto rischi/benefici e ponga in essere una nuova istruttoria e deliberazione dell’EMEA».

La polemica
La sentarice Donatella Poretti già lunedì sera ha parlato di «uso improprio delle istituzioni», sottolineando come dalla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva, la commissione Igiene Sanita' del Senato della Repubblica su un totale di 24 sedute, ben 16 le ha dedicate all'indagine conoscitiva sulla Ru486: «l'obbiettivo era, e resta, quello di interferire ed ostacolare il lavoro dell'Aifa. Infatti, nonostante le rassicurazioni, l'agenzia ancora non ha pubblicato in Gazzetta Ufficiale la delibera di immissione in commercio del Mifegyne (RU486) dello scorso 30 luglio, nonostante il segretario dell'Aifa Guido Rasi sia stato incaricato dal Cda lo scorso 19 ottobre».
Nel suo schema di documento alternativo la Poretti sottolinea che è «compito della Conferenza Stato-Regioni stabilire le procedure e l’organizzazione sanitaria, garantendo le varie modalità di ricovero e di assistenza come previsto dalla legge 194, garantendo altresì la possibilità di scelta al medico, del metodo e delle modalità più idonee alle caratteristiche cliniche della donna» e che «la Commissione verificherà nei mesi immediatamente successivi all’immissione in commercio - non oltre procrastinabile, pena l'apertura di una procedura di infrazione a livello di Unione europea, o l'immissione forzata in base alla direttiva del mutuo riconoscimento - la necessità di realizzare nuove audizioni, nelle modalità che si riterranno più opportune, per monitorare come le Regioni si saranno organizzate per garantire il rispetto della legge».
Lunedì sera il sottosegretario Eugenia Roccella aveva replicato così: «le audizioni in Commissione hanno dimostrato la necessità di un’indagine parlamentare sulla materia. In particolare l’audizione dell’avvocato Vincenzo Salvatore, Direttore dell’Ufficio Legale dell’Emea, ha segnalato la necessità che l’Agenzia Italiana del Farmaco chiedesse al Ministero competente, prima di riunire il suo Consiglio di amministrazione, un parere di compatibilità fra l’utilizzo della Ru486 e la normativa italiana. Nessuna volontà quindi di ostacolare l’Aifa ma la necessità di rispettare pienamente la legge 194 e di stabilire quali siano le competenze dei diversi soggetti istituzionali coinvolti».

Scarica qui il documento dell'indagine: http://beta.vita.it/allegati/attach/36069

di Sara De Carli - http://beta.vita.it/news 

 

venerdì 13 novembre 2009

La pillola anticoncezionale


COME AGISCE

La pillola contraccettiva agisce grazie alla combinazione di piccole quantità di un estrogeno (generalmente etinilestradiolo) e di un progestinico, l'assunzione quotidiana di questi due ormoni inibisce gli eventi ormonali che inducono l'ovulazione.
Oltre a sopprimere l'ovulazione, la pillola è causa di meccanismi contraccettivi accessori che ne aumentano la sicurezza: provoca infatti l'ispessimento della mucosa cervicale rendendo così difficoltoso il passaggio degli spermatozoi attraverso la cervice e un assottigliamento dell'endometrio rendendo difficoltoso l'impianto di un eventuale embrione. (Fonte: Wikipedia)

MA NON TUTTI SANNO CHE....

La pillola anticoncezionale blocca l'ovulazione, quindi il concepimento.
In una percentuale di casi l'ovulazione avviene comunque, quindi può avvenire il concepimento.
La normale "pillola" ha gli stessi ingredienti della "pillola del giorno dopo" e quindi, qualora si formi un embrione, essa agisce inibendo l'impianto nell'utero ed espellendo l'embrione provocando un microaborto, che è un vero e proprio aborto provocato artificialmente.

Spacciatori d'aborto: Ora parte l'inchiesta di Nas e procura

Milano, dopo la denuncia sul mercato nero del Cytotec

Ricette false, più che medici compiacenti. Timbri contraffatti, firme di dottori dai nomi presi su Internet o inesistenti. E’ soprattutto questo ad alimentare il mercato nero del Cytotec, il farmaco antiulcera usato per procurare aborti e venduto clandestinamente in alcune stazioni del metrò di Milano. C’è un’inchiesta di Nas e procura del capoluogo lombardo, che sulla questione mantengono riserbo. Lo smercio su Internet esiste, ma pesa relativamente, spiegano i carabinieri del Nucleo antisofisticazioni: «Chi si azzarda ad acquistare pastiglie di Cytotec sul web, come il Viagra o altri prodotti del genere - spiega il capitano Paolo Belgi, del nucleo di Milano - rischia di ritrovarsi con prodotti che nel migliore dei casi non hanno effetto o sono addirittura cancerogeni».
Le indagini, definite «avanzate», sono condotte in collaborazione con l’ordine dei farmacisti ai quali è affidato il compito di segnalare casi sospetti. «Il Cytotec si può avere solo con una ricetta medica non ripetibile - dice Andrea Mandelli, presidente dell’Ordine milanese e nazionale -, proprio come nel caso, ad esempio, della pillola del giorno dopo. Siamo i primi ad avere l’interesse a segnalare irregolarità: la prescrizione deve essere fatta dal medico di base che specifica nome e cognome del paziente. E il farmacista ha l’obbligo di conservare l’originale per sei mesi».
Ma la rete che rifornisce lo smercio clandestino c’è, ed è molto attiva. Ne approfittano soprattutto donne incinte, straniere, spesso clandestine, ma anche italiane, qualcuna molto giovane. Nel nostro Paese, nel 2008, gli aborti legali sono stati circa 120 mila, di cui 80mila da parte di donne italiane. Si stima - ma il numero esatto non lo conosce nessuno -, che gli interventi clandestini siano almeno 20mila, con un’impennata al Sud e tra le straniere. «Donne in carriera o in cerca di lavoro, studentesse minorenni, tutte italiane, vengono a chiederci se conosciamo qualcuno che offra “scorciatoie”», dice Caterina Fallanca, psicologa che lavora al Ced di Milano (Centro di educazione demografica), un consultorio laico dove, ogni giorno, arrivano 30, 40 donne in cerca di aiuto.
«Chiedono - racconta - se sappiamo come si recuperino le pillole di Cytotec o se conosciamo ambulatori clandestini, perché le liste d’attesa per una interruzione di gravidanza negli ospedali pubblici sono molto lunghe. Sette medici su dieci sono obiettori di coscienza e questo rallenta la formazione delle équipe». Si tratta, spesso, di donne preparate, che conoscono le possibilità previste dalla legge 194 e le conseguenze penali per chi non la rispetta. Eppure la fretta le rende pronte a rischiare. Come capita alle minorenni: «Vengono qui disperate, perché sono rimaste incinte e non sanno come fare - dice ancora Caterina Fallanca. Per quelle che sono sole, andare in tribunale ed essere ascoltate da un giudice tutelare, necessario per autorizzare l’intervento al posto dei genitori, è un ostacolo psicologico molto difficile da superare. Qualcosa di ben diverso, insomma, dal caso delle ragazze che vengono qui con la madre o il padre».

Nella rete dei consultori milanesi, però, il fenomeno preoccupa soprattutto chi segue le straniere: «Dicono di avere una gravidanza in atto e chiedono subito indicazioni sul Cytotec - spiega Graziella Sacchetti, ginecologa del «Centro di Salute e ascolto per le donne immigrate e i loro bambini» dell’ospedale San Paolo, a Milano, e che fa parte della Simm, società scientifica italiana di Medicina delle migrazioni -. Le donne vogliono sapere quante pastiglie bisogna assumere, a che ora del giorno e quali le controindicazioni e i rischi. Noi spieghiamo che la funzione del nostro centro non è spingerle all’aborto clandestino e insistiamo perché tengano il bambino. Se non le convinciamo indichiamo l’unica via percorribile: l’aborto legale in ospedale. Ma le straniere, spesso irregolari, temono la denuncia per clandestinità». Proprio com’è accaduto a Marilina, una filippina di 32 anni, che lavora a Milano come colf, senza libretti.
Nel suo Paese ha lasciato due figli e qui è nato il terzo. Alle operatrici del centro ascolto ha spiegato che far nascere quel bambino avrebbe significato perdere il posto. «Le abbiamo spiegato che avremmo potuto aiutarla a tenerlo - racconta la ginecologa - lei ha risposto che ci avrebbe pensato su e se n’è andata. Qualche giorno dopo è ricomparsa e ci ha detto: ho preso il Cytotec, me l’ha venduto un’amica. Oggi ho avuto una perdita, che cosa mi succederà?».


di Elena Lisa - Fonte: http://www.lastampa.it/ 
(Vedi altro articolo inerente a questo su http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200911articoli/49327girata.asp )


giovedì 12 novembre 2009

Filippine: Vescovi e cattolici filippini dicono no alla legge “pro – aborto”


Pressioni dell’Onu spingono il Congresso filippino a ridiscutere la Legge per la salute riproduttiva (Repruductive Health Bill). Questa prevede il controllo delle nascite e la diffusione di contraccettivi e pillole abortive. La Chiesa invita all’utilizzo di metodi naturali di pianificazione famigliare educando la popolazione a una cultura di responsabilità e amore.

Manila – “La Chiesa rifiuta l’aborto e i contraccettivi come soluzione al problema dell’incremento delle nascite”. È quanto affermano i membri della Conferenza episcopale filippina in risposta alla Legge di salute riproduttiva (Reproductive Health Bill) ripresentata al Congresso lo scorso 9 novembre per la sua approvazione definitiva. I vescovi annunciano che la “Chiesa continuerà a promuovere tra la gente i metodi di controllo naturali del suo Natural Family Programme (Nfp) per diffondere  tra la popolazione una cultura di responsabilità e amore”.
Il nuovo disegno di legge viene presentato dai membri del congresso dopo le pressioni dell’Onu, che in un rapporto, pubblicato il 30 ottobre, esprime “serie preoccupazioni” per l’alto tasso  di mortalità infantile e” la scarsa informazione tra i giovani dei metodi anticoncezionali”. Esso giudica la non approvazione della Reproductive Health come una “violazione dei diritti di donne e bambini” e invita il governo a compiere maggiori sforzi per la sua pronta applicazione". Il rapporto giudica la religione come principale ostacolo alla diffusione dei contraccettivi (preservativo, pillola abortiva, spirale intrauterina) che spinge le giovani madri a compiere aborti illegali (circa 400mila ogni anno).
“E’ un fatto che le gravidanze indesiderate causino aborti illegali – afferma mons. Josè Clemente Ignacio dell’arcidiocesi di Manila – ma perché dobbiamo considerare come unica soluzione la promozione dei contraccettivi che non sono sicuri e causano ancora più aborti?”. Per il prelato è proprio la finta sicurezza generata dagli anticoncezionali e l’aumento di rapporti sessuali e sesso libero la principale causa degli aborti”. Egli aggiunge che tutto ciò rende “la popolazione irresponsabile ed egoista e non risolve il problema”.
Al Congresso il dibattito sulla Reproductive Health è in corso da quattro anni e finora non ha mai raggiunto il quorum di 120 voti necessario per la sua approvazione. Ciò  grazie all’opposizione dei parlamentari cattolici e all’appoggio personale del presidente delle filippine Gloria Arroyo, che si è sempre detta contraria a politiche di pianificazione famigliare e all’aborto. La legge rifiuta l’aborto clinico, ma promuove un programma di pianificazione famigliare, che impedisce alle coppie di avere più di due figli. Pena, il pagamento di una sanzione e in alcuni casi il carcere. A sostegno del programma essa sponsorizza la diffusione in tutte le scuole e luoghi pubblici di pillole anticoncezionali, finora vietate per legge, preservativi e appoggia la sterilizzazione volontaria. Ciò per diminuire la crescita demografica considerata la principale causa dell’arretratezza del Paese.      


di Sanotsh Digal - Fonte: http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=16839&geo=5&size=A 


Cina: La strage degli innocenti



Con l'indifferenza verso la vita umana tipica dei governi comunisti, il regime cinese, sin dalla presa di potere sessant'anni or sono, ha adattato la sua politica demografica subordinandola alle necessità dell'economia. In un primo momento, introdotta la legge sul divorzio ed altre normative solo nominalmente a favore della donna (1950), aveva sollecitato il contenimento delle nascite. Poi si era rimangiato la parola negli anni del "Grande Balzo in avanti" (1956-57) e delle "Comuni Popolari" (1958) perché c'era bisogno di manodopera - «ogni bocca, due braccia», ricordava un adagio maoista dell'epoca - per lo sforzo di collettivizzazione volto a incrementare la produzione agricola e, soprattutto, industriale per superare «entro quindici anni - secondo gli ordini di Mao - la produzione di acciaio della Gran Bretagna».
Il risultato, invece, fu la disastrosa carestia del 1958-62 in cui perirono trenta milioni di persone. Dal 1979 ad oggi, trent'anni in cui la popolazione è lievitata da 700 milioni a oltre 1,30 miliardi, la politica è quella del figlio unico (un solo figlio per coppia e messo al mondo il più tardi possibile) ed è perseguita con particolare accanimento e ferocia.
Sterilizzazioni e aborti forzati, pestaggi, devastazione delle abitazioni, multe, sono alcune delle misure punitive a cui vanno incontro i trasgressori. Corollario di questa politica è la inevitabile preferenza delle coppie per il figlio maschio, non tanto per questioni ereditarie quanto per le superiori potenzialità lavorative. Così, come denuncia l'attivista per i diritti umani Harry Wu nel suo libro Strage di innocenti (Guerini e Associati, Milano 2009, pp. 185.€ 21,50), in Cina mancano milioni di bambine: uccise prima di nascere con aborti selettivi; eliminate, magari con la complicità di medici e paramedici delle strutture sanitarie; vendute anche per soddisfare la domanda di donne che, per un effetto perverso della stessa politica demografica, scarseggiano per gli uomini adulti.


Fonte: http://www.corrispondenzaromana.it/


mercoledì 11 novembre 2009

Nuova campagna per raccogliere un milione di firme contro l'aborto

Per chiedere all'ONU di difendere il concepito
WASHINGTON, martedì, 10 novembre 2009
Vari gruppi internazionali sono tornati a lanciare una campagna, promossa un anno fa, per raccogliere un milione di firme a sostegno del concepito e della famiglia.
L'Istituto di Politica Familiare, una delle entità coinvolte nell'iniziativa, ha spiegato a ZENIT che si cerca di far sì che gli Stati dell'ONU inizino a interpretare che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo difende l'essere umano contro l'aborto e riconosce il matrimonio e il diritto dei genitori di educare i figli.
I promotori hanno ripreso l'esempio della Comunità di Sant'Egidio, che è riuscita a raccogliere un milione di firme con cui si è chiesta una moratoria dell'applicazione della pena di morte, il cui frutto è stata una risoluzione di successo dell'ONU in cui si è chiesta l'abolizione della pena capitale.
La campagna di raccolta firme a favore del concepito è iniziata come reazione contro il ptentativo dei movimenti pro-aborto che l'anno scorso hanno voluto approfittare del 60° anniversario della Dichiarazione per promuovere il diritto all'aborto.
Nella sua prima fase, è arrivata a raggiungere quasi 500.000 fime, ha reso noto uno dei gruppi promotori della campagna negli Stati Uniti, C-FAM.
Queste firme sono state presentate ad alcuni ambasciatori dell'ONU e durante una conferenza stampa delle Nazioni Unite trasmessa in tutta la sede dell'organizzazione.
Le persone interessate a sostenere l'iniziativa possono ora firmare la dichiarazione via Internet, ad esempio sulla pagina www.c-fam.org/campaigns/lid.3/default.asp.
Tra gli organizzatori della campagna figurano C-FAM, Concered Women for America, United Families International, la Federazione Polacca di Movimenti Pro-vita e l'Istituto di Politica Familiare, nonché alcuni politici.
Gli organizzatori hanno lamentato le pressioni che l'ONU ha ricevuto perché l'aborto e il matrimonio tra omosessuali siano considerati diritti e per la promozione della propaganda omosessuale nelle scuole di alcuni Paesi occidentali, anche contro la volontà dei genitori.
“Questo si oppone direttamente a ciò che i redattori della Dichiarazione Universale hanno voluto scrivere in essa e nei suoi accordi vincolanti promulgati nel 1966”, hanno segnalato.
Il modulo da firmare, in 19 lingue, ricorda che la Dichiarazione Universale è il raggiungimento di uno standard comune per tutte le persone e tutte le Nazioni.
Indica quindi che si deve dare una giusta considerazione al diritto alla vita di ogni essere umano, dal suo concepimento alla morte naturale, e che ogni bambino o bambina ha il diritto di essere concepito, di nascere e di essere educato nella sua famiglia, basata sul matrimonio tra un uomo e una donna.
Considera anche la famiglia il gruppo di unità naturale e fondamentale della società, e il diritto di ogni bambino o bambina di essere educato dai suoi genitori, che hanno la priorità e il diritto fondamentale di scegliere il tipo di educazione da dare ai figli.
La slovacca Anna Zaborska e l'italiano Carlo Casini, parlamentari dell'Unione Europea, hanno guidato in Europa una campagna simile a questa petizione pro-vita. Le loro richieste sono state consegnate al Parlamento Europeo l'anno scorso.


sabato 7 novembre 2009

Embrioriduzione: Uccidiamo un gemello su tre per tutelare la “depressione” delle mamme



È questo il termine tecnico usato per celare quello più crudo e meno presentabile di aborto selettivo. Un concetto capace di rievocare le agghiaccianti profezie che il genio cristiano di G. K. Chesterton, nel 1922, rassegnò nel suo celebre saggio Eugenics and other evils.

Si tratta della riduzione degli embrioni, generalmente effettuata nel primo trimestre di una gravidanza gemellare, eseguita iniettando cloruro di potassio nel cuore del feto da eliminare, così da procurarne l’arresto cardiaco, oppure occludendone il cordone ombelicale, ad esempio con il laser, in modo da bloccare l’afflusso di ossigeno. La scelta è tra far morire l’embrione soffocato o ucciderlo con un’iniezione letale.

Questa drammatica questione è tornata alla ribalta delle cronache a seguito degli episodi segnalati nell’interessante articolo di Gaetano Calabrese sulla Stampa del 23 ottobre 2009, dall’efficace titolo “Uno dei tre non deve nascere”. Si racconta del caso di almeno quattro future mamme sottoposte, nell’ultimo anno, a fecondazione assistita che hanno deciso di selezionare i loro feti, facendo venire al mondo soltanto due dei figli di una gravidanza trigemellare.

La vicenda si è svolta presso l’Ospedale Ostetrico Ginecologico Sant’Anna di Torino, quello, tanto per intenderci, dove esercita il dott. Silvio Viale, medico ed esponente politico radicale, noto per le sue battaglie pro-choice.
La scelta degli embrioni da eliminare – essendo tutti sani – non è stata, in realtà, casuale, lasciata, cioè, all’alea di una tragica roulette russa. Calabrese spiega bene, nel suo articolo, quali sono i criteri di scelta che normalmente vengono adottati: «Quello che viene soppresso è in genere il feto più facilmente raggiungibile con l’ago di una siringa che inietta nel cuore cloruro di potassio: un metodo rapido, che nel giro di pochi secondi ferma il battito. Oppure si sceglie il più piccolo dei tre, dopo un’ecografia. Si adotta una tecnica simile a quella utilizzata per l’amniocentesi, ma in questo caso la siringa e l’ago non prelevano liquido amniotico per essere analizzato alla ricerca di eventuali malformazioni. L’iniezione intra-cardiaca ferma all’istante lo sviluppo di uno dei tre feti».
Per tutti coloro che non sono addentro all’intricato ginepraio della legislazione italiana su tali delicate materie, è necessaria una precisazione.

La tanto controversa legge 19 febbraio 2004 n.40 sulla procreazione medicalmente assistita – sottoposta anche al vaglio di una consultazione referendaria –, al quarto comma dell’art.14, in realtà, vieta espressamente «la riduzione embrionaria di gravidanze plurime».
Sorge allora la domanda di come sia stato possibile procedere agli aborti selettivi raccontati da Calabrese.
La risposta sta nell’ultimo inciso del citato art.14, quarto comma: «salvo nei casi previsti dalla legge 22 maggio 1978, n. 194», ovvero la vigente legge sull’interruzione volontaria della gravidanza.
E proprio qui sta il punto. L’art. 4 della 194 consente il ricorso all’aborto, nei modi e termini stabiliti dalla legge, ogniqualvolta sussista un «serio pericolo per la salute fisica e psichica» della donna.
Per le puerpere del Sant’Anna, quindi, è stato sufficiente reperire una perizia medica psichiatrica in cui venisse evidenziato che la «gravidanza trigemellare rappresenta un grave pericolo per la salute psichica della futura madre». È bastato, come ha ricordato Calabrese, una semplice minaccia di depressione. A nulla rilevando, peraltro, il fatto che tutti e tre i nascituri fossero perfettamente sani.
Dopo un’iniziale perplessità da parte delle strutture sanitarie (solo il Sant’Anna di Torino non ha mai avuto dubbi di sorta), e l’immancabile incursione della magistratura (basta ricordare il decreto d’urgenza emesso, nel giugno del 2004, dalla dottoressa Emanuela Cugusi, giudice della sezione Persone e famiglia del Tribunale civile di Cagliari, con il quale è stata imposta al dott. Giovanni Monni, primario del Servizio di Ostetricia e Ginecologia dell'Ospedale Microcitemico del capoluogo sardo, l’esecuzione di un’embrioriduzione), questa sembra ormai l’interpretazione dominante: la Legge 194 prevale sulla Legge 40, anche per quanto riguarda la riduzione embrionaria. E, ancora una volta, qui sta il punto.
Nonostante tutti gli strenui difensori della legge sull’interruzione della gravidanza, compresi quelli in buona fede, il concetto di «salute psichica» della donna rappresenta, in realtà, un enorme calderone capace di contenere di tutto. Attraverso quel criterio, tanto generico quanto indefinibile, possono passare le peggiori aberrazioni eugenetiche alla Marie Stopes, il più sfrenato individualismo, il capriccio sulla scelta di un sesso particolare del nascituro, persino, in teoria, una sadica crudeltà.

Ancora una volta bisogna ribadire che oggi in Italia, nonostante la petizione di principi della Legge 194, vige una piena applicazione del concetto di autodeterminazione della donna: in realtà, nessuno può impedire ad una donna maggiorenne non interdetta di abortire se essa lo vuole, qualunque siano i motivi della sua richiesta.
Fuori da ogni ipocrisia, bisogna ammettere che il nostro ordinamento giuridico riconosce ad un essere umano (la madre) il diritto assoluto di vita e di morte su un altro essere umano (il nascituro).
In quest’ottica si inserisce l’embrioriduzione, e l’episodio del Sant’Anna rende ancora più evidente tale principio. Posto, infatti, che gli embrioni da sacrificare erano perfettamente sani, non si è trattato in realtà di un’operazione eugenetica, ma soltanto del puro esercizio del diritto individuale della donna, della realizzazione di un mero desiderio soggettivo. La quintessenza del principio di autodeterminazione.
Tutto ciò, peraltro, ad onta di quanto stabilito, all’unanimità, dal Comitato Nazionale di Bioetica nel documento «Identità e Statuto dell’embrione umano» approvato il 22 giugno 1996, al cui punto 10 si legge: «Il Comitato è pervenuto unanimemente a riconoscere il dovere morale di trattare l'embrione umano, sin dalla fecondazione, secondo i criteri di rispetto e tutela che si devono adottare nei confronti degli individui umani a cui si attribuisce comunemente la caratteristica di persone, e ciò a prescindere dal fatto che all'embrione venga attribuita sin dall'inizio con certezza la caratteristica di persona nel suo senso tecnicamente filosofico, oppure che tale caratteristica sia ritenuta attribuibile soltanto con un elevato grado di plausibilità, oppure che si preferisca non utilizzare il concetto tecnico di persona e riferirsi soltanto a quell'appartenenza alla specie umana che non può essere contestata all'embrione sin dai primi istanti e non subisce alterazioni durante il suo successivo sviluppo».
Si tratta degli stessi embrioni sottoposti a procedura di “riduzione” presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino?
Due corollari alle considerazioni suesposte.
Uno è legato al rischio (variabile da 5 all’8%) che la procedura di embrioriduzione determini, come effetto involontario, la soppressione di tutti i feti. L’esistenza di tale rischio è stata confermata dal fatto che una delle quattro mamme che si è sottoposta all’embrioriduzione presso l’Ospedale Sant’Anna, ha perso tutti i gemelli, in seguito alla rottura delle membrane. Anche sulle percentuali di rischio c’è qualcosa da dire. Come ha spiegato Claudio Giorlandino, presidente della SIDIP (Società italiana di diagnosi prenatale e medicina materno-fetale) «nel feticidio selettivo gli errori sono possibili e, nella maggior parte dei casi, non se ne ha notizia per la delicatezza delle vicende umane che si accompagnano e per l'impossibilità di arrivare a un contenzioso legale in considerazione del fatto che le donne sono ben informate, prima di sottoporvisi, e sottoscrivono un pieno consenso informato. Tale prassi, e tali errori, sono tecnicamente possibili e diffusi in tutto il mondo».

Il secondo corollario riguarda l’incredibile perplessità avanzata sulla vicenda da alcuni medici abortisti dello stesso ospedale Sant’Anna. Calabrese ne riporta alcune dichiarazioni nel suo articolo: «Ma in questo caso – dicono – siamo di fronte a tutt’altra questione: donne che hanno fatto di tutto per diventare madri, che hanno speso denaro ed energie fisiche ed emotive, decidono di sopprimere una vita diventata improvvisamente di troppo». Così spiegano perché sono a favore dell’aborto ma contro l’embrioriduzione.
Non si comprende, in realtà, se l’atteggiamento di questi esimi medici – che non hanno optato per l’obiezione di coscienza – sia dettato più da una velata forma di ipocrisia che da un evidente schizofrenia morale.
Un feticidio resta tale, indipendentemente dalle modalità con cui viene eseguito (aborto chirurgico, siringa letale, occlusione del cordone ombelicale, pillola RU486) e, soprattutto, a prescindere dalle personali motivazioni della madre.
Così come un infanticidio resta tale a prescindere dalle modalità di esecuzione del reato e dalle recondite ragioni che spingono il colpevole. Non è un caso, tra l’altro, che proprio una delle mamme che si è sottoposta ad embrioriduzione, dopo l’operazione e in preda al rimorso, si sia rivolta alla dottoressa Sara Randaccio, psicologa e psicoterapeuta del Sant’Anna, in questi termini: «Dottoressa, mi sento come la Franzoni».
La soppressione di un feto resta oggettivamente ed intrinsecamente un atto immorale, senza possibilità di distinguo circa i motivi che inducono a compierla. Questo vale per tutti, ma a maggior ragione per un medico abortista che pretenda un criterio differenziale nella soppressione degli embrioni. Quasi che alcuni di essi abbiano più diritto a vivere di altri. Introdurre una distinzione in questo senso, significa cadere nell’incoerenza morale.




Quando i disabili vengono considerati bambini di serie B


CdV, 7 novembre - “In Italia non è possibile per un single adottare un bambino, mentre è possibile adottare un bambino disabile”. Si tratta di “una scelta orribile del nostro legislatore: il messaggio implicito è che lo Stato valuta i bimbi disabili come bambini di serie B per i quali puo’ essere sufficiente anche un solo genitore”, afferma il fondatore di Fede e Luce e delle Comunita’ dell’Arca, Jean Vanier, denunciando sull’Osservatore Romano l’avanzata inarrestabile di una mentalità eugenetica. Nell’intervista, pubblicata dal giornale della Santa Sede per ricordare il “Premio Paolo VI” assegnato a questo grande amico di Papa Wojtyla, l’anziano leader cattolico francese indica nell’aborto terapeutico uno degli aspetti più preoccupanti. “A una mia amica della comunita’ - racconta - venne detto che la bambina che aspettava era affetta da Trisomia 18 (patologia che farà nascere il feto morto o che lo farà morire a breve). Questa donna ha avuto difficoltà enormi: tutti insistevano perchè abortisse, anche la pediatra che l’avrebbe dovuta aiutare, e che invece era terrorizzata”. Secondo Vanier, “molti non hanno il tempo o non sono stati aiutati a prendere il tempo necessario per vedere la persona dietro la disabilita’”.
L’altro aspetto che preoccupa il fondatore di Fede e Luce è il rischio della selezione genetica insito nelle diagnosi prenatali e nelle tecniche per la procreazione assistita.
“E' l’eugenetica di oggi - rileva - volta a creare il figlio perfetto. Scelgo un maschio, un maschio che voglio diventi un grande pianista”.
Inoltre, continua Vanier, “succede davvero troppo spesso che l’uomo dica alla madre: se non abortisci, se non metti il bambino in istituto, ti lascio. E così , abbiamo tante famiglie monoparentali con madri che vivono sole con il figlio disabile”.
“Questa discriminazione - rileva Jean Vanier - presente ovunque. Il mondo vuole accettare le persone con disabilità solo se possono essere reinserite, se possono vivere da sole. Molti Stati e molte leggi li accettano solo se possono in qualche modo diventare ‘normali’. Come tutti gli altri. È il rifiuto di accettare le persone semplicemente per quello che sono. Perchè non esiste qualcosa come la normalità o l’anormalità: ogni persona è diversa. È fondamentale - sottolinea - creare società in cui ciascuno sia visto e sia considerato importante”. Ed occorre “cercare di aiutare i genitori a vedere e a comprendere che il figlio non è una delusione, non è qualcosa che non funziona, ma è invece una persona esattamente come noi, una persona con le sue difficoltà e i suoi handicap che sono, semplicemente, più visibili di quelli degli altri”.


venerdì 6 novembre 2009

Aborti in aumento nell'età delle bambole

 
Allarme ginecologi, aborti raddoppiati fra under 14

Hanno 14 anni e un aborto alle spalle. E sono sempre più numerose. In Italia le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) risultano più che raddoppiate proprio nell''età delle bambole'. A lanciare l'allarme sono i ginecologi italiani che segnalano una tendenza osservata già alle soglie del 2000. E avvertono: "Gli aborti fra le under 14 sono in costante aumento, si è passati dallo 0,5% del 1995 all'1,2% del 2005 e la crescita non sembra essersi arrestata". Ragazze giovanissime, quasi bambine, che hanno già vissuto l'esperienza di entrare in sala operatoria per porre fine a una gravidanza indesiderata. Succede in Italia dove però, rassicurano gli specialisti della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), si registra il più basso tasso di gravidanze 'a sorpresa'. A confermarlo un'indagine internazionale condotta a luglio 2009 su 2.825 ragazzi fra i 15 e i 21 anni di 14 Paesi del mondo e presentata oggi nel capoluogo lombardo: solo il 19% dei teenager italiani dichiara di avere un'amica o parente che ha vissuto un'esperienza simile, contro il 45% registrato in Polonia, il 37% della Francia e il 34% dell'Austria.
 

ASIA/COREA DEL SUD - I Vescovi sposano la campagna di medici e ostetrici contro l’aborto

 
Seul (Agenzia Fides) 
No all’aborto, pratica diffusa legalmente e illegalmente in Corea: la Commissione per la Bioetica della Conferenza Episcopale coreana ha espresso il suo sostegoo pubblico alla campagna anti-abortista di un gruppo di organizzazioni pro-vita di cui fanno parte numerosi medici e ostetrici coreani.
Le organizzazioni hanno diffuso un manifesto, inviato all’Agenzia Fides, in cui dichiarano la loro preoccupazione per il fenomeno degli aborti, legali e illegali, chiamando in causa l’intera società per fermare tali pratiche contro la vita nascente.
“La Conferenza Episcopale accoglie e approva questa coraggiosa presa di posizione dei medici e degli ostetrici contro gli aborti. Speriamo che la loro decisione sia per la società l’occasione per avviare una riflessione che getti luce sul mistero della vita umana e costruisca una cultura della vita”, afferma la Commissione in una nota giunta a Fides. “La vita umana – continua – va rispettata e protetta dal suo concepimento fino alla fine naturale. Nell’affrontare le questioni degli aborto e della distruzione di embrioni, la nostra società è rimasta spesso in silenzio e passiva. Per questo apprezziamo l’appello di medici e ostetrici che danno voce a un movimento anti-abortista”.
Secondo i Vescovi coreani, “dato che il governo ha il dovere di proteggere i suoi cittadini, dovrebbe farlo anche nei confronti della vita umana nascente, rimuovendo parte del Documento sulla cura materna e infantile che, di fatto, stimola l’aborto”. Inoltre, sottolinea la Commissione, l’intera società coreana dovrebbe iniziare, nelle sue diverse componenti, una profonda riflessione sul valore e sul rispetto della vita umana.
L’aborto è legale in Corea del Sud dal 1972. E’ diffusa però la pratica illegale dell’aborto selettivo, per le famiglie che vogliono solo i figli maschi. Secondo dati del movimento pro-vita “Life 31”, in Corea del Sud si compiono 4.000 aborti al giorno, e sono dunque oltre 1,5 milioni i bambini che ogni anno non vengono alla luce.
 

giovedì 5 novembre 2009

La direttrice di una clinica abortista si converte


BRYAN, 4 novembre 2009
Abby Johnson, ex direttrice di un centro di Planned Parenthood negli Stati Uniti, ha abbandonato questa organizzazione abortista dopo aver visto l'aborto di un bambino, e ora lavora con quanti pregavano per la sua conversione.
La Johnson, 29 anni, ha lavorato per Planned Parenthood per otto anni fino a che ha visto, attraverso una trasmissione per ultrasuoni, un feto “strizzato” mentre veniva aspirato dal ventre materno nel settembre scorso.
Il 6 ottobre ha lasciato il suo lavoro di direttrice del centro di Bryan (Texas) e si è recata alla Coalition for Life (Coalizione per la Vita), un gruppo pro-vita che in quel momento stava partecipando in varie città statunitensi alla campagna “40 Giorni per la Vita”.
David Bereit, direttore nazionale di “40 Giorni per la Vita”, ha spiegato a ZENIT che nell'ultima campagna, terminata questa domenica, altri sette lavoratori di cliniche abortiste hanno abbandonato il proprio ruolo, e sono state salvate 542 vite.
“E questi sono solo i casi di cui siamo a conoscenza”, ha aggiunto, riassumendo i risultati immediati della campagna, che ha unito 212 città di 25 Stati, 5 province canadesi e la Danimarca.
Il programma attuale dei “40 Giorni” è iniziato alla clinica di Bryan nel 2004 come iniziativa basata sulla preghiera e sul digiuno.
I collaboratori pro-vita si sono riuniti di fronte a questo centro dell'organizzazione Planned Parenthood per sei campagne fino a questo momento, celebrando una preghiera di un giorno intero per chi difende l'aborto.
“Dalla prima campagna nel 2004 abbiamo pregato per Abby – e per tutti coloro che lavorano nel settore dell'aborto – perché potesse arrivare a vedere che cos'è realmente l'aborto e abbandonasse questo affare di morte”, ha detto Bereit.
“In questo caso, le nostre preghiere sono state ascoltate – ha aggiunto –. Siamo molto orgogliosi del coraggio di Abby nel lasciare l'industria dell'aborto e annunciare pubblicamente le ragioni per cui l'abbandonava”.
Il direttore ha anche sottolineato che la storia della conversione della Johnson “dimostra l'importanza di una presenza orante costante e pacifica di fronte alle strutture abortiste”.

Punto di rottura
La Johnson, che ora sta comparendo in programmi radiofonici e televisivi di tutto il Paese, ha detto di aver sperimentato un “cambiamento del cuore riguardo alla questione”, ha reso noto “40 Giorni per la Vita”.
“Negli ultimi mesi – ha confessato –, avevo visto un cambiamento nelle motivazioni dell'impatto finanziario degli aborti e sono arrivata davvero al punto di rottura dopo aver assistito a un aborto concreto attraverso gli ultrasuoni”.
“Ho pensato soltanto 'Non posso più farlo', ed è stato come un flash che mi ha colpito”, ha detto a KBTX.com.
La Johnson, episcopaliana, ha descritto questo momento come una “conversione definitiva” del cuore, una “conversione spirituale”.
Ha anche spiegato che, pur essendosi unita all'inizio a Planned Parenthood perchè voleva auitare le donne, era in dubbio perché il centro stava cambiando il suo modo d'agire.
Il denaro non era speso per la prevenzione”, ha denunciato, “ma per gli aborti”.
La Johnson ha segnalato a FoxNews.com che attualmente riceveva istruzioni dai suoi capi regionali per incrementare il numero di aborti realizzati, per aumentare i profitti.
“In ogni riunione si diceva: 'Non abbiamo abbastanza denaro, dobbiamo aumentare gli aborti' – ha rivelato –. E' un affare molto lucrativo e per questo vogliono aumentare i numeri”.
Anche se l'ex luogo di lavoro della Johnson praticava aborti solo due giorni al mese, il medico era lì ogni giorno e poteva farne più di 40.
Ora la Johnson aiuta le donne, ma dall'altro lato. Ha iniziato a pregare con i volontari all'esterno di Planned Parenthood per quelli che una volta erano suoi colleghi.

Il potere della preghiera
Il direttore di Coalition for Life, Shawn Carney, ha affermato: “Questa è davvero una testimonianza del potere della preghiera e del coraggio di Abby di lasciare un lavoro che sentiva di non poter portare avanti in coscienza”.
“Per tutti noi volontari che abbiamo pregato fuori dalla clinica per la conversione di chi ci lavorava, è stata una gioia essere testimoni del fatto che le conversioni avvengono realmente”, ha aggiunto.
Anche se la Johnson non ha ancora trovato un altro lavoro, collabora da vicino con Carney e con altri membri della Coalizione.
Bereit ha detto a ZENIT che “la gente pro-vita sta accogliendo queste persone che lavoravano nel campo dell'aborto con amore e a braccia aperte”.
La pagina web della sua organizzazione, ricorda, ha pubblicato sui suoi blog centinaia di commenti di persone di tutto il mondo che esprimono il proprio sostegno ad Abby.
Bereit ha sottolineato che questa conversione avrà risultati di grande portata. “Incoraggerà davvero altre città a svolgere molteplici campagne '40 Giorni per la Vita', e presenze oranti regolari”, anche quando il programma non è in svolgimento.
“Ci siamo impegnati a esercitare pressioni fino a quando nessuna donna piangerà più e nessun bambino morirà”, ha dichiarato.
Ha anche riferito a ZENIT che sono state organizzate due nuove campagne per il 2010, una durante la Quaresima, che inizierà il 17 febbraio, e l'altra in autunno, dal 22 settembre al 31 ottobre.
“Oltre a questo – ha concluso –, '40 Giorni per la Vita' sta sviluppando attivamente strumenti e risorse per formare e dare autorità ai pro-vita locali per ampliare ed espandere l'impatto dei loro sforzi”.


martedì 3 novembre 2009

Cina: La politica del figlio unico


La politica del figlio unico è una delle politiche di controllo delle nascite attuata dal governo cinese nell'ambito della Pianificazione Familiare per contrastare il fortissimo incremento demografico del paese. Questa riforma considerata in maniera controversa fuori dalla Cina perché la sua applicazione era spesso causa di abusi dei diritti umani, è stata rivista anche all'interno della Cina dato che nel lungo periodo si è dimostrata negativa a livello economico e sociale.
La prima fase, introdotta in modo organico dopo pochi anni dalla morte di Mao Zedong, dal suo successore Deng Xiao Ping nel 1979 fu attuata con una legge che vietava alle donne di avere più di un figlio. La legge fu poi modificata negli anni novanta con l'introduzione di sole sanzioni pecuniarie.
Questa legge fu considerata dai successori di Mao fondamentale dato che durante l'epoca maoista il paese aveva visto un incremento annuale di quasi 30 milioni di persone.
Avviene addirittura che i medici vengano pagati dalla Stato a seconda delle sterilizzazioni forzate o degli aborti effettuati (che spesso vengono spacciati, alle povere madri, per terapeutici). Nel migliore dei casi, alcune famiglie, dopo il primo figlio, decidono di non uccidere le loro bambine e riescono, pagando chi di dovere, a non farle registrare, per evitare che siano gli impiegati statali ad eliminarle: in tal caso, però, queste bimbe, di fronte alla legge, non esistono, e non hanno quindi accesso all'istruzione, alla sanità ecc... Si ha così uno squilibrio all'interno della popolazione, per cui oggi mancano all'appello, in Cina, circa 40.000.000 di donne, e vi sono altrettanti uomini che non possono sposarsi. 

Secondo i dati ufficiali, oggi la Cina è popolata da 1,3 miliardi di persone, ma si stima che almeno un altro mezzo miliardo di persone non siano registrate all'anagrafe.

(Qui sopra un manifesto propagandistico fatto affiggere dal Partito 
cinese che invita la popolazione ad avere un solo figlio)

India: Carcere e multa per due medici che praticavano diagnosi prenatali per far scegliere "un figlio maschio"


Pascoal Carvalho, medico e membro della Pontificia Accademia per la vita: l’aborto selettivo è "un malessere della società indiana”. Il 70% delle coppie che si affidano alla Fecondazione in vitro lo fa solo per assicurarsi di avere un figlio maschio. Negli ultimi 20 anni l’India ha registrato almeno 10 milioni di aborti selettivi di feti femminili.


Mumbai (India)
Un tribunale municipale di Mumbai ha condannato a tre anni di carcere due medici che praticavano diagnosi prenatali per scegliere “un figlio maschio”.
Il magistrato R V Jambkar della Dadar Shindewadi Court ha ritenuto colpevoli i due imputati di quattro violazione del Pre-Conception and Pre-Natal Diagnostic Techniques Act (PNDT) del 2003 che proibisce la selezione dei nascituri a partire dal sesso.
I due condannati sono Chhaya Tated, omeopata di 42 anni, e Shubhangi Adkar, medico 62enne, che due domeniche al mese effettuavano diagnosi pre-natali presso la Shree Maternity and Nursing Home nella municipalità di Dadar.  Nel novembre 2004 avevano pubblicato su un settimanale un annuncio pubblicitario in cui offrivano uno speciale trattamento per le coppie che “vogliono un figlio maschio”. Oltre ai tre anni di detenzione il tribunale ha comminato il pagamento di una multa 30mila rupie ciascuno (circa 430 euro), il massimo della pena prevista dal PNDT.
In India sono rari i casi di detenzione comminata per violazione del PNDT, ma il magistrato ha motivato la sentenza affermando che “quando due persone stimate commettono reati non solo abominevoli, ma anche contro l’esistenza della società, non possono essere trattate con clemenza”. I due condannati, dice R V Jambkar, “con la loro azione incoraggiano la determinazione del sesso femminile del feto per prevenire certe gravidanze”.
 Negli ultimi 20 anni l’India ha registrato almeno 10 milioni di aborti selettivi di feti femminili. Essi vanno ad aggiungersi agli 11 milioni di aborti che ogni anno vengono effettuati nel Paese dove dal 1971 esiste una legge che permette l’interruzione di gravidanza. L’India infatti è uno degli Stati più permissivi in materia e l’aborto viene pubblicizzato come il miglior metodo per il controllo delle nascite e per garantire un maggior sviluppo economico delle famiglie.
Pascoal Carvalho, medico di Mumbai e membro della Pontificia Accademia per la vita spiega ad AsiaNews che “il cosiddetto ‘genocidio delle bambine’ è purtroppo un malessere della società indiana che affonda le sue radici in una cultura che preferisce il maschio compie violenza contro la donna”.
Per Carvalho il caso dei due condannati dal tribunale di Dadar Shindewadi è un “evidente violazione del PNDT”, ma sottolinea che ‘il genocidio delle bambine’  avviene anche attraverso la fecondazione in vitro (Fiv) che permette ai genitori di scegliere il sesso del nascituro attraverso la Diagnosi pre-impianto. “Un esperto che opera in una clinica per la fertilità, - afferma Carvalho - mi ha confidato che ormai circa il 70% dei pazienti non hanno bisogno della Fiv, ma vi fanno ricorso proprio per la selezione di genere”.

di Nirmala Carvalho - Fonte: http://www.asianews.it/index.php?l=it&art=16751&size=A 


lunedì 2 novembre 2009

L'aborto e la salute mentale


L'aborto aumenta il rischio di malattie psicologiche.
Emerge da uno studio che ha analizzato la storia clinica di oltre 500 donne
 
(AGI) Wellington, 2 nov.
Interrompere la gravidanza puo' essere un evento stressante per le donne, fino a provocare problemi mentali. Nelle donne che hanno subito piu' stress, infatti, il rischio di problemi di salute mentale aumenta di molto, fino a raggiungere l'80 per cento in piu' rispetto al normale. E' il risultato di un nuovo studio condotto dall'Universita' di Otago (Nuova Zelanda), che ha analizzato la storia clinica di piu' di 500 donne. "Nelle donne che erano state esposte, almeno una volta durante la loro vita, a un evento di aborto, la frequenza di problemi e malattie mentali e' da 1,4 a 1,8 volte maggiore rispetto a quelle che non hanno subito un simile evento", scrivono gli autori in un articolo pubblicato sul British Journal of Psychiatry. "La nostra scoperta solleva la questione se sia opportuno effettuare l'aborto solo per evitare eventuali problemi mentali dati da una gravidanza indesiderata". Per gli autori, non ci sono infatti prove che una gravidanza indesiderata possa aumentare il rischio di depressione o altri problemi, mentre l'aborto potrebbe rappresentare un problema per le donne piu' sensibili alle esperienze stressanti. "C'e' spesso battaglia tra i movimenti 'per la vita' e quelli 'per la liberta' di scelta' sulle conseguenze dell'aborto", concludono gli autori. "I nostri risultati non supportano a pieno nessuna delle due fazioni".

La pillola del giorno dopo: cos'è e come funziona



La cosiddetta pillola del giorno dopo, un ben conosciuto ritrovato chimico (di tipo ormonale) che di frequente è stato presentato da molti addetti ai lavori e da numerosi media come un semplice contraccettivo, o piú precisamente come un “contraccettivo d’emergenza’’, a cui si potrebbe far ricorso entro breve tempo dopo un rapporto sessuale ritenuto presumibilmente fecondante, qualora si volesse impedire la prosecuzione di una gravidanza indesiderata. Alle inevitabili reazioni polemiche di chi ha manifestato seri dubbi sul meccanismo d’azione di tale ritrovato, che non sarebbe semplicemente “contraccettivo” bensí “abortivo”, è stato risposto - in maniera del tutto sbrigativa - che una simile preoccupazione appare infondata in quanto la pillola del giorno dopo ha un’azione “antinidatoria”, suggerendo cosí implicitamente una netta separazione tra aborto e intercezione (impedire che avvenga l’impianto dell’ovulo fecondato, cioè dell’embrione, nella parete uterina).


Considerato che l’uso di tali ritrovati tocca beni e valori umani fondamentali, fino ad interessare la stessa vita umana nel suo sorgere, questa Pontificia Accademia per la Vita sente il pressante dovere e la convinta esigenza di offrire alcune precisazioni e considerazioni sull’argomento, ribadendo per altro posizioni etiche già note, suffragate da precisi dati scientifici, e consolidate nella dottrina cattolica.
 
1. La pillola del giorno dopo è un preparato a base di ormoni (essa può contenere estrogeni, estroprogestinici, oppure solo progestinici) che, assunta entro e non oltre le 72 ore dopo un rapporto sessuale presumibilmente fecondante, esplica un meccanismo prevalentemente di tipo “antinidatorio”, cioè impedisce che l’eventuale ovulo fecondato (che è un embrione umano), ormai giunto nel suo sviluppo allo stadio di blastocisti (5°-6° giorno dalla fecondazione), si impianti nella parete uterina, mediante un meccanismo di alterazione della parete stessa.

Ricordi di un aborto


Attraverso una mia personalissima esperienza scritta in forma epistolare, voglio parlare dell’aborto, discorso molto delicato.
Spesso molte donne si trovano ad affrontare questa situazione, resta un argomento attuale che scatena profonde emozioni sia nel caso di aborti spontanei che provocati.
"Carissimo amico
Ti scrivo ti parlo ancora di me di quella volta che aspettavo un bambino e non lo volevo.
Ero sola dentro il bagno e aspettavo un esito che già conoscevo, dentro di me c’era un bambino inatteso.
Da quel momento l’angoscia ha prevalso sulla razionalità, tanti pensieri hanno avvolto la mia mente e per un attimo ho desiderato che lui non ci fosse.
Avevo appena ripreso la mia femminilità dopo la terza gravidanza, avevo ricominciato a vedermi donna e non solo mamma, anche se la maternità mi aveva aiutato in passato a uscire dal torpore della mia esistenza.

domenica 1 novembre 2009

La forza di una vita fragile

Di fronte all'eventualità di un figlio portatore di handicap, ci sono genitori che non si sentono in grado di sostenere il peso delle difficoltà permanenti che ciò comporta e ce ne sono altri convinti di scegliere il meglio per la loro sfortunata creatura evitandole di nascere.  

In entrambi i casi abortire appare come l'unica decisione razionale, assolutamente irreprensibile. Molti, anzi, giudicano il sì alla vita in simili condizioni come una scelta irresponsabile ed egoista, biasimano i genitori che accettano di far nascere un figlio se questo significa condannarlo a un'esistenza limitata, priva di prospettive e dipendente dall'assistenza altrui e li rimproverano per gli «inutili» oneri economici che con la loro decisione impongono alla collettività.
Sophie Chevillard Lutz ha trovato le parole per spiegare invece le ragioni della vita che hanno indotto lei e suo marito a dare alla luce una bambina, la piccola Philippine, sapendola affetta da un gravissimo polihandicap di origine cerebrale.
In effetti Philippine non parla, non vede bene, non è in grado di mangiare e di stare in piedi da sola e deve essenzialmente ai sensi del tatto e dell'udito il proprio rapporto con il mondo che la circonda: all'età di sette anni ha la capacità di comunicare di un neonato di pochi mesi e non vi sono speranze che la situazione possa migliorare sensibilmente.
Perché allora farla vivere? È semplice. «Non si sono mai visti un uomo e una donna generare una cosa diversa da un essere umano», scrive Sophie Chevillard Lutz, e quindi la sua piccola Philippine, pur nella fragilità della sua vita incompleta, ha piena dignità umana e inalienabili diritti inerenti alla propria condizione di persona, incluso quello di esistere e di ricevere tutte le attenzioni e le cure possibili.
Né può un genitore decidere la morte di un figlio: «Chi può scegliere tra un figlio handicappato e un figlio morto? Non ho scelto di avere una bambina handicappata. Ho deciso di lasciarla vivere fino alla morte naturale. So di aver scelto ciò che penso sia, nel profondo, il rispetto assoluto dovuto alla vita di ogni persona, chiunque essa sia. Non posso decidere quando la mia bambina morirà».

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