Uno dei tre non deve nascere
Almeno quattro future mamme sottoposte nell’ultimo anno a fecondazione assistita hanno deciso di selezionare i loro feti, facendo venire al mondo soltanto due dei figli di una gravidanza trigemellare.
E’ successo al Sant’Anna, l’ospedale torinese delle mamme e dei bambini, ma probabilmente è quanto accade anche altrove. La tecnica si chiama embrioriduzione, generalmente praticata entro il primo trimestre per non mettere a rischio la sopravvivenza di tutti i nascituri in caso di minaccia di aborto. Ma qui la scelta di eliminare uno dei bimbi è avvenuta non per un rischio clinico per il feto o per la madre, ma sulla base del «verdetto» di una consulenza psichiatrica: «La gravidanza trigemellare rappresenta un grave pericolo per la salute psichica della futura madre», si legge in una di queste consulenze. Basta una minaccia di depressione. Non serve arrivare all’ipotesi estrema di suicidio, che potrebbe essere classificata come un rischio potenziale per la sopravvivenza della madre.
Sono numerose le gravidanze gemellari e trigemellari in caso di fecondazione assistita. Il fatto è che a Torino la scelta di queste mamme sta mettendo in crisi più d’uno, nel principale ospedale ginecologico, tra chi - medici, infermieri e ostetriche - accompagna queste donne verso il parto. Un caso destinato a sollevare più di un interrogativo, anche etico.
Storie di bambini mai nati: quello che viene soppresso è in genere il feto più facilmente raggiungibile con l’ago di una siringa che inietta nel cuore cloruro di potassio: un metodo rapido, che nel giro di pochi secondi ferma il battito. Oppure si sceglie il più piccolo dei tre, dopo un’ecografia. Si adotta una tecnica simile a quella utilizzata per l’amniocentesi, ma in questo caso la siringa e l’ago non prelevano liquido amniotico per essere analizzato alla ricerca di eventuali malformazioni. L’iniezione intra-cardiaca ferma all’istante lo sviluppo di uno dei tre feti.
Tra chi, all’ospedale Sant’Anna, ora dice di disapprovare una scelta comunque drammatica, c’è anche chi non ha scelto l’obiezione di coscienza. Chi, cioè, ha finora dato il consenso a praticare senza preconcetti interruzioni volontarie di gravidanza. «Ma in questo caso - dicono - siamo di fronte a tutt’altra questione: donne che hanno fatto di tutto per diventare madri, che hanno speso denaro ed energie fisiche ed emotive, decidono di sopprimere una vita diventata improvvisamente di troppo». Un paradosso.
In Italia, il numero delle coppie che si sottopongono a fecondazione assistita è in costante crescita, con percentuali di successo tra il 22 e il 35 per cento per ciclo, malgrado nel 2007 il dato risultasse in netto calo, a tre anni dalla legge 40 sulla fecondazione artificiale: dal 24,8 per cento del 2003 al 21,2 per cento di successi del 2005, con una riduzione di 3,6 punti percentuali.
In tutte le relazioni psichiatriche indispensabili per autorizzare le embrioriduzioni, al Sant’Anna le difficoltà della donna ad accettare l’idea di essere madre di tre gemelli sono state determinanti. In nessun caso la «selezione» era motivata da problemi clinici. L’eliminazione selettiva di un feto che viene effettuata solitamente a 10-12 settimane di gestazione, «è associata con una riduzione del rischio di aborto e di morte perinatale nelle gravidanze plurigemellari con più di tre gemelli », dice la letteratura. La stessa pratica è controversa, per le gravidanze trigemine, dallo stesso mondo medico.
La questione sollevata al Sant’Anna è destinata ad aprire una serie di interrogativi non solo sul diritto a una scelta simile, ma soprattutto sulla preparazione delle coppie ad affrontare una gravidanza dopo la fecondazione in vitro. Molte si rivolgono all’estero. «Più che una consulenza psichiatrica per decidere di eliminare uno dei futuri figli, occorrerebbe una consulenza più attenta prima di sottoporre la donna a Fivet», sostiene chi potrebbe presto trovare una nuova forma di obiezione. «Bisogna spiegare più chiaramente alle donne qual è la relazione tra embrioni impiantati e possibilità di sviluppare gravidanze multiple».
C’è un altro aspetto etico della questione: una delle pazienti che si è sottoposta al Sant’Anna all’embrioriduzione, ha perso tutti i gemelli, in seguito alla rottura delle membrane. Un rischio collegato alla tecnica stessa.
Marco Accossato - La Stampa
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