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domenica 18 ottobre 2009

Il decalogo contro la Ru486: Non una medicina che cura, ma un veleno che uccide


Un decalogo contro la pillola RU486 con dieci buone ragioni contrarie all’aborto chimico: lo ha presentato nella sua newsletter l'Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa (www.vanthuanobservatory.org). “La questione della vita è al centro della Dottrina sociale della Chiesa”, ricorda mons. Giampaolo Crepaldi, presidente dell’Osservatorio, “perché riguarda in modo radicale la dignità della persona e perché da come si affronta il tema del rispetto della vita umana dipendono tutte le altre questioni sociali”. La pillola RU486, aggiunge mons. Crepaldi, è “espressione di una cultura disgregativa, che distrugge la passione per la vita e colpisce fin nelle origini il significato dello stare insieme”. Partendo dalla considerazione che “un aborto è sempre un aborto” e la modalità, chimica o chirurgica, “non cambia la sua natura di delitto abominevole”, il decalogo ricorda anche che “l'aborto chimico non è meno pericoloso per la salute della donna”. 
La RU486, che prevede l’associazione di mefipristone e prostaglandine, non è, insomma, “una medicina”, ma “un veleno”, che “non ha alcuna azione terapeutica, non cura nessuna malattia, non svolge alcuna azione benefica; ha un solo scopo: eliminare tramite la sua morte un embrione umano”. La “pillola” per abortire, prosegue il decalogo, “banalizza l’aborto. Utilizzare un prodotto chimico, per giunta catalogato come farmaco, induce due drammatici errori: ritenere che l’aborto sia un cosa facile e che rientri nell’ambito delle terapie mediche”. L’RU486 “pone la donna totalmente sola nella gestione dell’aborto, come avveniva e ancora avviene nell’aborto clandestino”. Inoltre, “c’è poco tempo per una adeguata riflessione. Le pillole vengono consegnate alle donne in tempi necessariamente brevi, dovendosi assumere entro i primi 49 giorni della gravidanza per essere efficaci”. La pillola svolge un’azione diseducativa con una conseguente “deresponsabilizzazione”. Ancora: “Rappresenta una ideologia” perché “la mentalità di ricorso all’aborto tutte le volte in cui la contraccezione fallisce è uno degli effetti collaterali più pericolosi del cosiddetto controllo delle nascite”. Non essendo un farmaco, non si può imporre ai medici di prescriverla: “Ogni medico – avverte il decalogo - deve essere libero di dissociarsi e di rifiutarne la prescrizione, la quale sarebbe una attiva e consapevole cooperazione ad un atto reputato ingiusto e illecito”. Infine, “l’aborto resta un atto gravemente ingiusto, un lutto da elaborare, una ferita da guarire. Perderne consapevolezza non cambia la realtà dei fatti: un fatto è un fatto. In barba a tutte le ideologie”.

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