CROCIATA AI FARMACISTI CATTOLICI
Ringrazio il Dott. Uroda, Presidente dell’Unione Cattolica Farmacisti italiani, per l’invito ad aprire i lavori di questo Convegno e saluto insieme a lui gli illustri relatori e i numerosi partecipanti. È un invito che ho accolto con piacere, considerata l’attualità del tema prescelto e l’impostazione dei lavori enunciata fin dal titolo, nel quale l’obiezione di coscienza del farmacista viene significativamente collocata in una prospettiva che richiama insieme il profilo del diritto e quello del dovere. Non spetta a me approfondire le complesse questioni giuridiche collegate a questa impostazione, oggetto delle relazioni che saranno svolte questa mattina da ben noti giuristi, né le possibili implicazioni sul piano sociale e politico, che risulteranno adeguatamente illustrate nel corso della tavola rotonda prevista per questo pomeriggio. Ritengo invece opportuno cogliere l’occasione di questo breve intervento introduttivo per richiamare l’attenzione sui delicati problemi etici connessi al tema del Convegno e sul contributo alla riflessione offerto dal magistero della Chiesa.
La questione dell’obiezione di coscienza nasce dal conflitto interiore dell’uomo posto di fronte all’alternativa, a volte lacerante, fra il comando della legge, che imporrebbe una determinata azione, e l’imperativo della propria coscienza – rispondente a motivazioni religiose, ma anche etiche o ideologiche – secondo cui quella azione risulta inaccettabile. Il riconoscimento della possibilità di appellarsi alla “clausola di coscienza” è diretto appunto a superare tale conflitto interiore tra coscienza individuale e obbligo legale. Cercando di evitare gli esiti insanabili e gravissimi che derivano da una legge ingiusta di cui sia destinatario, l’obiettore «dicendo di no alla legge intende dire di sì al diritto» (F. D’Agostino). Tradizionalmente la possibilità dell’obiezione di coscienza è stata riconosciuta con riguardo al servizio di leva obbligatorio e agli interventi diretti all’interruzione volontaria di gravidanza, cioè ai due casi tipici che per la loro radicalità permettono di mettere in evidenza i referenti essenziali dell’obiezione stessa. Sono casi emblematici perché, pur nella loro diversità, appaiono entrambi legati direttamente al fondamentale principio del non uccidere.
In questo quadro si colloca anche la questione del diritto-dovere dei farmacisti all’obiezione di coscienza, che viene oggi in discussione sia di fronte a taluni farmaci abortivi (come la RU486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi, quale in concreto la cosiddetta pillola del giorno dopo, sia di fronte a taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico. In Italia il problema è avvertito soprattutto riguardo alla vendita della cosiddetta pillola del giorno dopo. Infatti, sebbene l’autorizzazione ministeriale all’immissione in commercio della specialità medicinale Norlevo abbia qualificato tale prodotto come «contraccettivo d’emergenza», in base alle evidenze scientifiche disponibili non si può escludere la concreta possibilità di un’azione post-fertilizzativa del farmaco stesso nelle ipotesi in cui, essendosi già verificata la fecondazione dell’ovulo e quindi la formazione dell’embrione, viene impedito all’embrione stesso di iniziare l’impianto nella parete uterina, con evidente effetto abortivo.
In tal senso si è pronunciato il Comitato nazionale di bioetica nella Nota sulla contraccezione d’emergenza approvata il 28 maggio 2004, nella quale, dopo aver rilevato la diversità di opinioni emerse nel dibattito scientifico circa l’efficacia della “pillola del giorno dopo”, ha «ritenuta unanimemente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione» del levonorgestrel (LNG, principio attivo del farmaco). Se una tale opzione è correlata ai possibili effetti post-fertilizzazione del farmaco, osserva il Comitato, «il medico ha comunque il diritto di appellarsi alla ‘clausola di coscienza’, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (cfr. Corte cost. n. 35/1997), e dunque a prescindere da disposizioni normative specifiche sul punto». Del resto, appare abbastanza chiaro che l'intenzione di chi chiede o propone l’uso di questa pillola o è finalizzata direttamente all’interruzione di una eventuale gravidanza, proprio come nel caso dell’aborto, o perlomeno non esclude e accetta questo possibile risultato, che verrebbe a realizzarsi al di fuori delle rigorose prescrizioni e procedure stabilite dalla legge 194/78.
Emerge così «il rischio di una ulteriore banalizzazione del valore della vita, con l’incremento di una mentalità secondo cui l’aborto stesso finisce per essere considerato un anticoncezionale» (card. A. Bagnasco, Prolusione al Consiglio permanente, 21-24 settembre 2009). Si viene inoltre a introdurre «un conflitto all’interno delle norme dello Stato: la legge 194 garantisce infatti il diritto all’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario a cui sia richiesto di collaborare all’aborto. Non è giustificabile togliere questo diritto ai farmacisti» (card. C. Ruini, Intervista al Sir, 1 novembre 2000). Proprio i farmacisti sono chiamati a dare in questo ambito una chiara testimonianza, in quanto, come ha affermato Benedetto XVI, essi rappresentano gli «intermediari fra il medico e il paziente» e svolgono «un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell’assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell’utilizzazione di alcuni farmaci». Non si devono «anestetizzare le coscienze sugli effetti di molecole che hanno lo scopo di evitare l’annidamento di un embrione o di cancellare la vita di una persona»; il farmacista deve invitare ciascuno «a un sussulto di umanità, perché ogni essere sia protetto dal concepimento fino alla morte naturale» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al 25° Congresso internazionale dei farmacisti cattolici, 29 ottobre 2007).
Il ruolo educativo nell’intermediazione tra medico e paziente rappresenta, dunque, un compito caratterizzante il lavoro del farmacista. Il farmacista cattolico è chiamato a cogliere questa opportunità per esercitare un autentico apostolato e un’opera di misericordia spirituale attraverso il suo lavoro. Per far questo è importante coltivare la vita di fede con la preghiera, i sacramenti e la testimonianza di onestà e di carità. Altresì è necessaria al farmacista, come a tutti gli operatori sanitari, quella speciale attenzione nella formazione della coscienza morale che si richiede per essere accanto a chi soffre. Dare testimonianza evangelica laddove i contenuti della fede sono messi in questione da casi limite emotivamente coinvolgenti, da forti interessi economici o da una cultura edonista e nichilista è oggi particolarmente faticoso. Bisogna perciò, come singoli farmacisti e come associazione, attingere al patrimonio morale e agli insegnamenti della Chiesa e coordinarsi con l’azione pastorale che essa esercita a tutela della vita e a servizio dei malati (a questo proposito è significativa e lodevole la vostra scelta di firmare il manifesto Liberi per Vivere promosso dal’Associazione Scienza & Vita). D’altra parte, la riflessione ecclesiale che la Chiesa che è in Italia sta portando avanti sul tema dell’educazione rappresenta anche la via per un rilancio culturale della vostra professione, che spesso rischia di essere percepita e regolamentata come una pura attività commerciale, svuotata della sua dignità ed esposta a logiche economiche di tipo unicamente mercantile. Invece, educare le coscienze con la propria professione di farmacista è oggi una priorità per il bene comune e l’interesse di tutti e una missione alta e certamente impegnativa; per questo «nella distribuzione delle medicine il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, né in nome di compiacenti legislazioni. Il guadagno, legittimo e necessario, deve essere sempre subordinato al rispetto della legge morale e all'adesione al magistero della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Discorso alla Federazione internazionale dei farmacisti cattolici, 3 novembre 1990).
Per il farmacista cattolico, aderire all’insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, che è di natura etica e morale, rappresenta anzitutto un dovere, sicuramente difficile da adempiere in concreto ma al quale non può rinunciare. I cristiani infatti sono chiamati a non prestare la loro collaborazione a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Tale cooperazione si verifica quando «l’azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell’intenzione immorale dell’agente principale» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, § 74). In questa prospettiva, l’obiezione di coscienza è anche un diritto che deve essere riconosciuto ai farmacisti, permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla «fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali, come per esempio l’aborto e l’eutanasia», e di superare le difficoltà di un contesto culturale che tende, talvolta, a non favorire l’accettazione dell’esercizio di questo diritto, in quanto «elemento “destabilizzante” del quietismo delle coscienze» (Pontificia Accademia per la Vita, 15 marzo 2007).
Il diritto-dovere all’obiezione di coscienza non riguarda solo i farmacisti cattolici ma tutti i farmacisti, perché «la questione della vita e della sua difesa e promozione non è una prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie, essa appartiene ad ogni coscienza umana che aspira alla verità ed è attenta e pensosa per le sorti dell’umanità» (Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, § 101). Desidero quindi esortare voi tutti ad essere testimoni coraggiosi nell’esercizio della professione del valore inalienabile della vita umana, soprattutto quando è più debole e indifesa. Seguire la propria coscienza non è sempre una via facile e può comportare sacrifici ed aggravi. Tuttavia, rimane necessario «proclamare chiaramente che la via dell’autentica espansione della persona umana passa per questa costante fedeltà alla coscienza mantenuta nella rettitudine e nella verità» (Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, 1974). A Cristo Gesù, Signore della Vita e a Maria Madre Sua e Madre della Chiesa affido il cammino della vostra associazione e i lavori di questa giornata, auspicando il miglior frutto per questa iniziativa.
La questione dell’obiezione di coscienza nasce dal conflitto interiore dell’uomo posto di fronte all’alternativa, a volte lacerante, fra il comando della legge, che imporrebbe una determinata azione, e l’imperativo della propria coscienza – rispondente a motivazioni religiose, ma anche etiche o ideologiche – secondo cui quella azione risulta inaccettabile. Il riconoscimento della possibilità di appellarsi alla “clausola di coscienza” è diretto appunto a superare tale conflitto interiore tra coscienza individuale e obbligo legale. Cercando di evitare gli esiti insanabili e gravissimi che derivano da una legge ingiusta di cui sia destinatario, l’obiettore «dicendo di no alla legge intende dire di sì al diritto» (F. D’Agostino). Tradizionalmente la possibilità dell’obiezione di coscienza è stata riconosciuta con riguardo al servizio di leva obbligatorio e agli interventi diretti all’interruzione volontaria di gravidanza, cioè ai due casi tipici che per la loro radicalità permettono di mettere in evidenza i referenti essenziali dell’obiezione stessa. Sono casi emblematici perché, pur nella loro diversità, appaiono entrambi legati direttamente al fondamentale principio del non uccidere.
In questo quadro si colloca anche la questione del diritto-dovere dei farmacisti all’obiezione di coscienza, che viene oggi in discussione sia di fronte a taluni farmaci abortivi (come la RU486, per i farmacisti ospedalieri) o potenzialmente abortivi, quale in concreto la cosiddetta pillola del giorno dopo, sia di fronte a taluni sviluppi (o meglio involuzioni) che si profilano in materia di fine vita, considerato che in alcuni paesi europei, come ad esempio in Belgio, risulta già in vendita nelle farmacie un kit eutanasico. In Italia il problema è avvertito soprattutto riguardo alla vendita della cosiddetta pillola del giorno dopo. Infatti, sebbene l’autorizzazione ministeriale all’immissione in commercio della specialità medicinale Norlevo abbia qualificato tale prodotto come «contraccettivo d’emergenza», in base alle evidenze scientifiche disponibili non si può escludere la concreta possibilità di un’azione post-fertilizzativa del farmaco stesso nelle ipotesi in cui, essendosi già verificata la fecondazione dell’ovulo e quindi la formazione dell’embrione, viene impedito all’embrione stesso di iniziare l’impianto nella parete uterina, con evidente effetto abortivo.
In tal senso si è pronunciato il Comitato nazionale di bioetica nella Nota sulla contraccezione d’emergenza approvata il 28 maggio 2004, nella quale, dopo aver rilevato la diversità di opinioni emerse nel dibattito scientifico circa l’efficacia della “pillola del giorno dopo”, ha «ritenuta unanimemente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione» del levonorgestrel (LNG, principio attivo del farmaco). Se una tale opzione è correlata ai possibili effetti post-fertilizzazione del farmaco, osserva il Comitato, «il medico ha comunque il diritto di appellarsi alla ‘clausola di coscienza’, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (cfr. Corte cost. n. 35/1997), e dunque a prescindere da disposizioni normative specifiche sul punto». Del resto, appare abbastanza chiaro che l'intenzione di chi chiede o propone l’uso di questa pillola o è finalizzata direttamente all’interruzione di una eventuale gravidanza, proprio come nel caso dell’aborto, o perlomeno non esclude e accetta questo possibile risultato, che verrebbe a realizzarsi al di fuori delle rigorose prescrizioni e procedure stabilite dalla legge 194/78.
Emerge così «il rischio di una ulteriore banalizzazione del valore della vita, con l’incremento di una mentalità secondo cui l’aborto stesso finisce per essere considerato un anticoncezionale» (card. A. Bagnasco, Prolusione al Consiglio permanente, 21-24 settembre 2009). Si viene inoltre a introdurre «un conflitto all’interno delle norme dello Stato: la legge 194 garantisce infatti il diritto all’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario a cui sia richiesto di collaborare all’aborto. Non è giustificabile togliere questo diritto ai farmacisti» (card. C. Ruini, Intervista al Sir, 1 novembre 2000). Proprio i farmacisti sono chiamati a dare in questo ambito una chiara testimonianza, in quanto, come ha affermato Benedetto XVI, essi rappresentano gli «intermediari fra il medico e il paziente» e svolgono «un ruolo educativo verso i pazienti per un uso corretto dell’assunzione dei farmaci e soprattutto per far conoscere le implicazioni etiche dell’utilizzazione di alcuni farmaci». Non si devono «anestetizzare le coscienze sugli effetti di molecole che hanno lo scopo di evitare l’annidamento di un embrione o di cancellare la vita di una persona»; il farmacista deve invitare ciascuno «a un sussulto di umanità, perché ogni essere sia protetto dal concepimento fino alla morte naturale» (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al 25° Congresso internazionale dei farmacisti cattolici, 29 ottobre 2007).
Il ruolo educativo nell’intermediazione tra medico e paziente rappresenta, dunque, un compito caratterizzante il lavoro del farmacista. Il farmacista cattolico è chiamato a cogliere questa opportunità per esercitare un autentico apostolato e un’opera di misericordia spirituale attraverso il suo lavoro. Per far questo è importante coltivare la vita di fede con la preghiera, i sacramenti e la testimonianza di onestà e di carità. Altresì è necessaria al farmacista, come a tutti gli operatori sanitari, quella speciale attenzione nella formazione della coscienza morale che si richiede per essere accanto a chi soffre. Dare testimonianza evangelica laddove i contenuti della fede sono messi in questione da casi limite emotivamente coinvolgenti, da forti interessi economici o da una cultura edonista e nichilista è oggi particolarmente faticoso. Bisogna perciò, come singoli farmacisti e come associazione, attingere al patrimonio morale e agli insegnamenti della Chiesa e coordinarsi con l’azione pastorale che essa esercita a tutela della vita e a servizio dei malati (a questo proposito è significativa e lodevole la vostra scelta di firmare il manifesto Liberi per Vivere promosso dal’Associazione Scienza & Vita). D’altra parte, la riflessione ecclesiale che la Chiesa che è in Italia sta portando avanti sul tema dell’educazione rappresenta anche la via per un rilancio culturale della vostra professione, che spesso rischia di essere percepita e regolamentata come una pura attività commerciale, svuotata della sua dignità ed esposta a logiche economiche di tipo unicamente mercantile. Invece, educare le coscienze con la propria professione di farmacista è oggi una priorità per il bene comune e l’interesse di tutti e una missione alta e certamente impegnativa; per questo «nella distribuzione delle medicine il farmacista non può rinunciare alle esigenze della sua coscienza in nome delle leggi del mercato, né in nome di compiacenti legislazioni. Il guadagno, legittimo e necessario, deve essere sempre subordinato al rispetto della legge morale e all'adesione al magistero della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Discorso alla Federazione internazionale dei farmacisti cattolici, 3 novembre 1990).
Per il farmacista cattolico, aderire all’insegnamento della Chiesa sul rispetto della vita e della dignità della persona umana, che è di natura etica e morale, rappresenta anzitutto un dovere, sicuramente difficile da adempiere in concreto ma al quale non può rinunciare. I cristiani infatti sono chiamati a non prestare la loro collaborazione a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Tale cooperazione si verifica quando «l’azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione dell’intenzione immorale dell’agente principale» (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Evangelium vitae, § 74). In questa prospettiva, l’obiezione di coscienza è anche un diritto che deve essere riconosciuto ai farmacisti, permettendo loro di non collaborare direttamente o indirettamente alla «fornitura di prodotti che hanno per scopo scelte chiaramente immorali, come per esempio l’aborto e l’eutanasia», e di superare le difficoltà di un contesto culturale che tende, talvolta, a non favorire l’accettazione dell’esercizio di questo diritto, in quanto «elemento “destabilizzante” del quietismo delle coscienze» (Pontificia Accademia per la Vita, 15 marzo 2007).
Il diritto-dovere all’obiezione di coscienza non riguarda solo i farmacisti cattolici ma tutti i farmacisti, perché «la questione della vita e della sua difesa e promozione non è una prerogativa dei soli cristiani. Anche se dalla fede riceve luce e forza straordinarie, essa appartiene ad ogni coscienza umana che aspira alla verità ed è attenta e pensosa per le sorti dell’umanità» (Giovanni Paolo II, Enciclica Evangelium vitae, § 101). Desidero quindi esortare voi tutti ad essere testimoni coraggiosi nell’esercizio della professione del valore inalienabile della vita umana, soprattutto quando è più debole e indifesa. Seguire la propria coscienza non è sempre una via facile e può comportare sacrifici ed aggravi. Tuttavia, rimane necessario «proclamare chiaramente che la via dell’autentica espansione della persona umana passa per questa costante fedeltà alla coscienza mantenuta nella rettitudine e nella verità» (Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione sull’aborto procurato, 1974). A Cristo Gesù, Signore della Vita e a Maria Madre Sua e Madre della Chiesa affido il cammino della vostra associazione e i lavori di questa giornata, auspicando il miglior frutto per questa iniziativa.
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